Ancora una enclave per i cristiani iracheni, ma sotto l’amministrazione del Kurdistan. Solo una ipotesi, ma il dibattito sulla nuova costituzione della regione autonoma – che dovrebbe essere approvato con un referendum il 25 luglio – ha riproposto il vecchio progetto di una piana di Ninive trasformata in “riserva” per il caldei e le altre confessioni della minoranza cristiana. «Se si tratta di avere un riconoscimento dei diritti come minoranza, questo è un passo avanti perché sono spesso calpestati. Stiamo cercando di capire quanto valgono le affermazioni contenute nel progetto di costituzione della regione autonoma», afferma il vescovo ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni. La discussione sottintende anche un dibattito fra caldei, siri e assiri. Le tre etnie tradizionalmente cristiane, sono menzionate espressamente dalla costituzione irachena, mentre non è chiaro in che termini sono menzionate nel Kurdistan. «Nell’ultimo sinodo caldeo abbiamo auspicato un riconoscimento dei diritti dei cristiani senza però mescolare caldei, assiri e siri. L’unità e la cooperazione fra i cristiani non è però un bene accetto da tutti», conclude monsignor Warduni. Intanto la proposta di una enclave è stata condannata da 50 deputati del Parlamento iracheno in vista di un referendum previsto al riguardo nella regione autonoma curda il 25 luglio. Per ora nessuna presa di posizione ufficiale dell’episcopato, anzi «sulla questione ci sono posizioni molto diverse all’interno delle diverse etnie cristiane», ammette Warduni il vice-patriarca di Baghdad. «Sarebbe meglio che ogni affermazione dei diritti restasse ancorata alla costituzione nazionale», facendo intuire come la proposta non susciti grande entusiasmo fra la comunità dei caldei. Ma la battaglia è già politica: il deputato Ossama alNujaifi ha attaccato violentemente l’idea affer- mando che la costituzione del Kurdistan è incompatibile con quella federale e che darebbe al Parlamento del Kurdistan iracheno più poteri che al Parlamento nazionale di Baghdad. Il documento riconosce formalmente il gruppo etnico «caldeo siriaco assiro», al quale appartengono molti cristiani, così come il diritto di regolamento autonomo in zone in cui un gruppo etnico rappresenta la maggioranza. Secondo alcuni questo assicurerebbe alle minoranze pieni diritti. Ma non tutti i cristiani iracheni sostengono l’idea di una patria cristiana. Se gruppi come il Movimento Democratico Assiro hanno chiesto un territorio cristiano in Kurdistan – vedendolo come l’«ultima speranza» per i cristiani perseguitati del Paese –, altri temono che questo porti all’isolazionismo. In passato l’arcivescovo latrino di Baghdad Jean Sleiman, leader dei 5.000 cattolici iracheni di rito latino, ha infatti affermato che qualsiasi piano che preveda un’enclave cristiana nel nord implicherebbe la creazione di «un ghetto». Per questo il referendum costituzionale curdo potrebbe avere una forte ripercussione interna ai cristiani iracheni. L’atteggiamento della Chiesa siriaca è infatti diverso da quello della Chiesa caldea. Quella dei diritti dei cristiani è una delle questioni all’ordine del giorno nel momento particolarmente delicato che l’Iraq sta vivendo per il ritiro delle truppe statunitensi, a sei anni dal conflitto che ha portato alla fine del regime di Saddam Hussein e a una guerra civile che ha provocato moltissime vittime. Intanto il bilancio delle vittime delle violenze nel mese di giugno in Iraq è il più alto degli ultimi undici mesi con un totale di ben 437 morti. Il preoccupante dato è stato reso noto ieri dai ministeri iracheni di Difesa, Interno e Sanità. Secondo il comunicato, il più alto tributo di sangue è stato pagato dai civili: 372 uccisi, insieme a 45 poliziotti e a 20 soldati. Inoltre, sempre nel solo mese di giugno, sono stati feriti 960 civili, 101 poliziotti e 34 soldati.