"Il 2015 non è stato un buon anno per
i diritti umani. È stato un anno oscuro, uno di quei rari anni
in cui non registriamo passi in avanti. Anzi, registriamo molti
arretramenti": è preoccupante il "Rapporto 2015-2016, La
situazione dei diritti umani nel mondo", presentato a Roma
da Amnesty international, e così introdotto dal suo direttore
generale per la sezione Italia, Gianni Rufini.
Nel 2015 si è registrata, "una crescita dei conflitti, delle
crisi umanitarie, dei crimini di guerra e contro l'umanità". E
allo stesso tempo, "c'è una generale indifferenza nei confronti
del destino dei milioni civili nei conflitti. C'è indifferenza
nei confronti di coloro che fuggono dai conflitti e si ritrovano
davanti ad un filo spinato, magari nel cuore dell'Europa".
Nel suo rapporto annuale, Amnesty analizza la situazione dei
diritti umani in 160 Paesi, notando tra l'altro che 30 Paesi
hanno rimandato illegalmente rifugiati verso Paesi in cui
sarebbero stati in pericolo, o che in 19 Paesi sono stati
commessi crimini di guerra o altre violazioni delle "leggi di
guerra". E 156 difensori dei diritti umani sono morti durante la
detenzione o uccisi, mentre 61 in Paesi i governi hanno messo in
carcere prigionieri di coscienza, ossia persone che avevano
solamente esercitato i loro diritti e le loro libertà.
E si analizza la situazione anche nel dettaglio, Paese per
Paese. Con ad esempio l'Arabia Saudita dove si verificata una
"brutale repressione contro chi aveva osato chiedere riforme o
criticare le autorità", e anche "crimini di guerra nella
campagna di bombardamenti in Yemen". Oppure in Cina, dove c'è un
"aumento della repressione contro i difensori dei diritti umani
e l'adozione di leggi indiscriminate in nome della sicurezza
nazionale". O ancora in Egitto, dove ci sono stati "migliaia di
arresti, anche nei confronti di chi aveva espresso critiche in
modo pacifico, nell'ambito della repressione in nome della
sicurezza nazionale e la prolungata detenzione di centinaia di
persone, senza accusa né processo e centinaia di condanne a
morte". E in Israele, dove c'è stato il "mantenimento del blocco
militare nei confronti di Gaza e conseguente punizione
collettiva ai danni di 1,8 milioni di abitanti; il mancato
rispetto, così come da parte della Palestina, della richiesta
Onu di condurre serie indagini sui crimini di guerra commessi
nel conflitto di Gaza del 2014". E ancora in Russia, dove si fa
uso "repressivo di leggi sulla sicurezza nazionale e contro
l'estremismo dai contenuti vaghi" con una "azione coordinata per
ridurre al silenzio la società civile" e si verifica il
"vergognoso rifiuto di riconoscere le vittime civili degli
attacchi in Siria e mosse spietate per fermare l'azione del
Consiglio di sicurezza sulla Siria". E anche gli Stati Uniti, il
cui "centro di detenzione di Guantanamo - esempio delle gravi
conseguenze della "guerra al terrore" - è ancora aperto".
Ce n'è anche per l'Italia, dove "ha destato preoccupazione
l'implementazione di un sistema comunitario concordato per
controllare gli arrivi, il cosiddetto 'approccio hotspot'. È
perdurata la discriminazione contro i rom" e non è stato
"introdotto il reato di tortura nella legislazione" né è stato
garantito "il riconoscimento giuridico delle coppie formate da
persone dello stesso sesso".
E allora, per mostrare che la lotta alle ingiustizie non è
finita, Amnesty lancia un appello e lo fa con uno spot in cui è
testimonial Roberto Saviano, sulle note di "Herès to you", la
celebre ballata di Ennio Morricone interpretata da Joan Baez che
negli anni 70 fece da colonna sonora al film di Giuliano
Montaldo su Sacco e Vanzetti. "Tornare a cantare Herès to you
- afferma lo scrittore di Gomorra - significa mostrare che la
lotta alle ingiustizie non è finita, per tutti i Sacco e
Vanzetti del mondo, per tutti gli uomini e le donne
perseguitati, torturati, imprigionati per quello che dicono e
per quello che pensano".