Lo strano uomo con capelli e barba incolti che aveva suonato il campanello di Betty Lindsey era sporco e chiaramente confuso. La signora era in ritardo per andare all’università a tenere un corso, e l’interruzione la disturbò. Poi l’uomo si mise a parlare e Lindsey si accorse con orrore che quell’essere umano alla deriva, con addosso solo un camice da ospedale, era suo figlio Daniel, che stava cercando da tre mesi. Il 30enne, che, dopo un incidente di moto sente voci che non esistono e fatica a parlare in modo coerente, era scomparso dal suo appartamento, a pochi isolati di distanza. Lindsey lo portò al centro psichiatrico della contea di Harris, in Texas, dove vive. Nei giorni successivi la donna avrebbe scoperto che Daniel era finito in ospedale in seguito a una crisi che aveva spinto i suoi vicini a chiamare la polizia. Da lì, dopo essere stato stabilizzato in 48 ore, era stato dimesso e mandato in taxi, senza soldi né medicine, a una struttura privata del vicino New Mexico che ospita in dormitori persone senza fissa dimora, ex carcerati e malati di mente, pagando le proprie spese “trattenendo” i loro assegni di disabilità. In poche parole, Daniel era stato scaricato. E nessuno aveva pensato di avvisare lei, il cui nome era scritto su un pezzo di carta nel portafogli di Darrell – nel frattempo sparito. Il caso denunciato qualche mese fa dalla famiglia di Daniel è emblematico di una pratica sufficientemente diffusa negli Stati Uniti da avere la sua definizione legale:
patient dumping, o abbandono terapeutico. I casi non sono abbastanza da balzare alle cronache con frequenza, ma tendono a riapparire ogni volta che il Paese attraversa una nuova fase di tagli alle spese sanitarie, soprattutto per i malati di mente. Come adesso.È una misura alla quale gli ospedali statunitensi fanno ricorso da almeno mezzo secolo. Molti esperti di politiche sociali americane la fanno risalire ai primi anni Sessanta, quando John Kennedy propose il reinserimento dei pazienti con turbe psichiche nella comunità. La legge passò, ma senza adeguato finanziamento. Se alcuni Stati riuscirono ad organizzarsi, molti non avevano le risorse o l’esperienza necessarie per gestire a domicilio la massa di persone improvvisamente emersa dalle istituzioni psichiatriche. «Ai miei tempi la chiamavamo terapia Greyhound, come la marca dei bus di lungo raggio», spiega Mike Harvey, direttore di un’associazione per i diritti dei pazienti psichiatrici in Texas. Lui stesso soffre di depressione, e conosce bene il metodo. Negli anni Settanta fu scaricato da un ospedale di Austin, in Texas, con un pacchetto di Camel, 25 centesimi per una telefonata e un biglietto di sola andata su un Greyhound per il New Mexico. I nosocomi Usa assicurano che questi episodi sono una reliquia del passato, ma la realtà è che, 40 anni più tardi, quelli più oberati da pazienti senza casa, senza famiglia e non paganti, vi fanno ancora ricorso.Fra il 2009 e il 2012 gli Stati americani hanno tagliato quasi 4 miliardi e mezzo dal loro bilancio per la salute mentale. Secondo un rapporto della National Alliance on Mental Illness, le riduzioni si sono tradotte nell’eliminazione di molti servizi, come strutture residenziali per i pazienti più gravi e il supporto terapeutico alle famiglie o alle associazioni comunitarie. Il risultato è che i pronto soccorso, i rifugi per i senza fissa dimora e le carceri sono diventate il punto di arrivo di persone con malattie croniche, soprattutto psicologiche. Un ruolo che molti ospedali che non vogliono o non possono permettersi di assumersi. Due mesi fa, James Brown, che è schizofrenico, venne ricoverato al Rawson-Neal Psychiatric Hospital, a Las Vegas. Depresso e con tendenze suicide, Brown vi era finito dopo una crisi violenta nella “casa” semi-privata dove viveva insieme ad altri. Dopo tre giorni i dottori decisero che era pronto per andarsene. Ma non lo rimandarono alla struttura residenziale dove riceveva il suo assegno mensile, forse per paura di vederlo tornare nel giro di qualche giorno. Invece, un infermiere chiese a James se gli piaceva la California. Lui ammise che «sembrava un bel posto». James si trovò alla stazione dei bus, con un biglietto di sola andata per Sacramento, sei bottiglie di una bevanda nutrizionale e medicine per tre giorni. Sulla lettera di dimissione era elencato, come indirizzo: «Stazione dei bus diretti in California». Stando a dati emersi in seguito alla vicenda di James, dal 2008 gli ospedali del Nevada hanno spedito ad altri Stati quasi 1600 pazienti, senza un accompagnatore né istruzioni da seguire una volta arrivati a destinazione. Una serie di agenzie, statali e federali, hanno aperto inchieste sull’accaduto. La prima ad essersi conclusa è quella del Centro per Medicare e Medicaid, i due programmi di mutua federale per i poveri e gli anziani, che ha scoperto che l’ospedale Rawson-Neal non stabilisce una chiara responsabilità per le dimissioni, né ha una procedura unica per il rilascio dei pazienti. Ora l’ospedale rischia di perdere milioni di dollari di fondi federali. Intanto James, dopo avere passato alcune notti per strada, ha trovato un assistente sociale che lo ha messo in contatto con sua figlia, sulla costa orientale degli Usa. Il Nevada di James e il Texas di Daniel hanno un elemento in comune. Nel 2009 il Nevada spendeva 64 dollari pro capite in servizi per la salute mentale, circa la metà della media nazionale di 123 dollari. Oggi ne spende 40. In Texas l’ammontare è di circa 20 dollari per persona. Il governo federale, lo stesso che ha imposto agli Stati la chiusura dei manicomi, potrebbe fare poco per rimediare, anche se avesse fondi sufficienti. Il motivo è una legge, l’Omnibus Budget Reconciliation Act del 1982, di Ronald Reagan, che ha quasi eliminato ogni responsabilità economica federale per la salute mentale, trasferendola agli Stati. E il livello di cure e di strutture cambia tanto drasticamente da Stato a Stato che a volte “esportare” un paziente appare agli ospedali più facile che reinserirli nella loro comunità. Ne sa qualcosa Betty Lindsey, che continua a fare scoperte sui tre mesi di peregrinazioni del figlio. Dopo essere venuta a sapere che, durante il soggiorno di Daniel in New Mexico, un “amico” aveva svuotato il suo appartamento di vestiti, mobili, denaro, la donna ha smesso di indagare. Invece ha trovato una casa di cura privata che può ospitare suo figlio a tempo indeterminato. Grazie all’aiuto finanziario dei suoi dei genitori, Daniel non verrà più scaricato.