Dalla comunità yazida si leva un nuovo grido di disperazione dopo la notizia del massacro di decine di ostaggi yazidi da parte dei terroristi dello Stato islamico. La strage, avvenuta venerdì nella località di Tal Afar, 60 chilometri a ovest di Mosul, avrebbe interessato – secondo diverse stime – tra 300 e 600 membri della comunità, rapiti nella scorsa estate. Diverse testimonianze hanno parlato di 50-70 cadaveri gettati nel pozzo chiamato Antar, usato in passato dai jihadisti come fossa comune dei loro oppositori. Un membro della Commissione irachena per i diritti umani, Qolo Sinjari, ha sollecitato un intervento urgente del governo iracheno e della comunità internazionale per fermare i terroristi che continuano, secondo lui, a compiere esecuzioni di prigionieri yazidi nella moschea al-Huda, a Tal Afar. Secondo Sinjari, dei 4mila yazidi rapiti l’anno scorso, circa 1600 sono riusciti a fuggire e raggiungere luoghi sicuri oppure sono stati rilasciati, dopo una finta conversione all’islam, dagli stessi rapitori. Sugli altri ostaggi, invece, pende ora la spada della fucilazione perché, secondo il responsabile curdo Hogar Aljaf, «sono diventati un peso sull’organizzazione a causa dei continui bombardamenti» della coalizione internazionale. Le ultime efferatezze dell’Is sono destinate ad arricchire il già copioso dossier nero preparato dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani. Oltre cento testimonianze di sopravvissuti yazidi, relative a crimini e abusi commessi tra giugno 2014 e gennaio 2015, sarà prossimamente sottoposto al Consiglio di sicurezza per essere trasmesso alla Corte penale internazionale. Tra le testimonianze raccolte dagli investigatori, una parla di miliziani dell’Is che ridono mentre nella stanza accanto si consuma una violenza ai danni di due ragazzine. Una donna incinta racconta, invece, di un “medico” dell’Is che l’ha violentata ripetutamente poi si è seduto sulla sua pancia dicendo: «Questo bimbo deve morire perché è infedele. Io posso darti un bimbo musulmano». Il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi aveva pubblicato l’anno scorso una sorta di “guida” per illustrare ai suoi seguaci come trattare queste donne “infedeli”. Come schiave. Nelle mani del-l’Is rimangono ancora almeno 1500 ragazze yazide. Mentre ammonta a 300 il numero di quelle che si sono sottratte all’organizzazione, cui l’Unicef assicura, grazie a un progetto di 500 mila euro finanziato dalla Cooperazione Italiana, supporto sanitario e psicologico, nonché un aiuto al reinserimento nelle famiglie e nella società. Gli yazidi sono accusati di essere un’eredità del paganesimo persiano. La loro fede, in verità, offre un misto di elementi di giudaismo cabalistico, di cristianesimo, di zoroastrismo e persino di misticismo islamico. Si sa che venerano una divinità chiamata Tawsi Melek, l’Angelo pavone, assimilato dai loro avversari al diavolo. Possiedono due libri sacri, il Libro delle rivelazioni e il Libro nero, che descrivono la creazione dell’universo e degli angeli e precisano le leggi da osservare. Quanto basta per suscitare nei secoli, nei loro confronti, diverse persecuzioni da parte dell’islam ufficiale. Nel 1892, migliaia di yazidi sono stati uccisi in un’offensiva delle truppe ottomane, mentre nel 2007 circa 500 yazidi sono stati uccisi in una serie di attentati simultanei di gruppi jihadisti. Difficile stimare il loro numero attuale. Fino al 2005 si parlava ancora di mezzo milione di fedeli residenti in Iraq, principalmente a Sinjar e Sheikhan, nel Nord. Altre decine di migliaia si trovavano in Siria e nel Caucaso. La persecuzione degli ultimi anni ha costretto migliaia di famiglie a fuggire in Europa (solo in Germania si contano circa 50 mila fedeli), in Australia e negli Stati Uniti.