giovedì 22 agosto 2019
Ogni martedì, dal 22 febbraio nell’indifferenza internazionale, la piazza contesta il sistema dell’ex leader Bouteflika
Algeria, compie sei mesi la rivoluzione silenziosa
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A sei mesi dalle prime imponenti manifestazioni anti-governative (il 22 febbraio scorso, dopo 18 anni di pace sociale imposta dalle Forze armate) non rientrano le richieste di rinnovamento e pluralismo politico da parte della popolazione. Settimana dopo settimana, migliaia di persone si radunano per invocare un reale cambiamento: la decisione dell’anziano e malato presidente Abdel Aziz Bouteflika di non candidarsi per un quinto mandato (proprio questa ipotesi, invisa all’opinione pubblica, aveva innescato la miccia della rivolta due mesi prima del voto presidenziale, calendarizzato per il 18 aprile, ndr) e di dimettersi anticipatamente ha solo temporaneamente calmato gli animi.

Militari ed élite politico-economica hanno di fatto congelato la crisi annullando le elezioni ed affidando ad un uomo del regime, Abdelkader Bensalah, dal 2002 presidente della Camera alta del Parlamento, la presidenza ad interim. Ma agli algerini questa operazione di maquillage politico non è bastata: a protestare contro il “nizam”, il sistema, è l’intera società civile, con i giovani in pri- ma linea. Lo scorso martedì, il ventiseiesimo di fila, hanno marciato per le strade della capitale gli studenti anti-governativi, in corteo da piazza dei Martiri fino al cuore di Algeri con slogan contrari a Bensalah. L’attuale presidente ha già ter- minato il proprio mandato di tre mesi, e non pare intenzionato a lasciare il passo, nonostante sia pure lui indebolito da età e malattia.

Ai vertici delle Forze armate, il generale Ahmed Gaed Salah considera le domande della cittadinanza già soddisfatte e non intende certo smantellare il sistema di cui è garante, come richiesto dagli attivisti. Venerdì scorso, intanto, in piazza, i manifestanti hanno chiesto ancora una volta che siano liberati i prigionieri politici, che l’esercito non blocchi l’accesso alla capitale nei giorni di protesta, che si torni alle urne presto e con una macchina elettorale trasparente.

Questa settimana, la Commissione incaricata di gestire il dialogo e la mediazione in Algeria (Cnd), guidata da Karim Younes, già presidente dell’Assemblea nazionale popolare, riprenderà le consultazioni con i diversi partiti politici. La polemica infuria: Younes non è una figura vicina al clan Bouteflika, ma certamente è stato per decenni un ingranaggio del medesimo motore. Intanto, il regolamento di conti inter-istituzionali prosegue: la Corte suprema ha da poco messo sotto accusa l’ex ministro della Giustizia, Tayeb Louh, per corruzione, mentre Bensalah in persona ha attuato un rimpasto all’interno dell’Esercito, rimuovendo il generale Hadji Zerhouni dall’incarico nevralgico di controllore generale.

Al suo posto, un generale più “amichevole” nei confronti del nuovo corso: Mustapha Ojani. La società civile tenta di imprimere un’accelerazione, pur mantenendo sui binari della non violenza la rivolta: sabato, sempre che le tanto sospirate autorizzazioni arrivino, attivisti e rappresentanti dei partiti si raduneranno, a Est di Algeri, per un confronto inedito sulla crisi in atto.

Fra gli organizzatori dell’evento l’associazione Raj (Rassemblement action jeunesse), che non esita a denunciare «la testardaggine di un potere machiavellico che si preoccupa solo del suo mantenimento a scapito della volontà popolare». Stando così le cose, in mancanza di una vera apertura al dialogo da parte del governo, l’impasse algerina pare destinata a durare ancora a lungo, nel silenzio della comunità internazionale.

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