giovedì 3 marzo 2011
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«Siamo ai primissimi giorni di questa delicata fase investigativa. Il procuratore Luis Moreno Ocampo sta raccogliendo elementi, sulla base dei quali deciderà se emettere un mandato d’arresto internazionale per Gheddafi. Potrebbero volerci poche settimane, forse giorni». Silvana Arbia è il giudice cancelliere della Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi). Toccherà a lei garantire la neutralità del procedimento, la protezione dei testimoni e il rispetto del diritto a una giusta difesa. Ad Avvenire anticipa le mosse della Cpi e i passi che saranno compiuti per dare giustizia alle vittime del regime.L’indagine è coordinata dal procuratore Ocampo, che ieri ha ufficializzato l’apertura dell’investigazione annunciando per oggi l’elenco dei crimini di cui è indagato Muammar Gheddafi e una serie di «informazioni preliminari sulle autorità di Tripoli e le persone incriminate». Un’accelerazione necessaria per scongiurare che possano essere commessi «ulteriori reati». Già responsabile di ventidue casi in fase preliminare, Arbia ha presieduto due processi sul genocidio in Ruanda del 1994.Gheddafi è stato ufficialmente indagato dalla Cpi dell’Aja. Ora rischia un mandato di cattura. Cosa consiglierebbe al Colonnello?La presunzione d’innocenza per noi è un presupposto essenziale. Nel caso di un formale atto di accusa, certo sarebbe preferibile che la persona indagata si consegnasse spontaneamente. Finché non vi è una condanna ogni diritto, dalla giusta e adeguata difesa fino a quello del miglior standard di detenzione nell’attesa del verdetto, saranno assicurati».Entro quanto tempo la Corte potrebbe decidere se emettere un mandato di cattura?Potrebbero volerci poche settimane. Stiamo comunque parlando di reati gravissimi, come quello di «crimine di genocidio», per il quale occorrerà ottenere indizi consistenti. Tutto dipenderà dalle prove che verranno raccolte a mano a mano. Inoltre, non essendo la Libia un Paese aderente alla Corte penale dell’Aja, la nostra giurisdizione su questo caso al momento si limita a quanto chiesto dal Consiglio di sicurezza: così come ci chiede l’Onu potremo accusare la leadership libica per quanto avvenuto dal 15 febbraio 2011. Inoltre la procura è in contatto, oltre che con le Nazioni Unite, anche con l’Unione Africana, la Lega degli Stati arabi, e diversi altri Stati.Però nell’inchiesta sul presidente del Sudan Omar el-Bashir, l’ordine d’arresto non è mai stato eseguito ed el-Bashir è rimasto al suo posto. Accadrà lo stesso con Gheddafi?Questo dipenderà dalla reale volontà di collaborazione degli Stati membri della Corte penale internazionale e di quelli che, pur non facendone parte (come Stati Uniti, Cina e Russia), siedono nel Consiglio di sicurezza Onu, che ha invocato un nostro intervento. La Libia, come il Sudan, non è uno Stato membro della Cpi e dunque se possiamo agire è perché le Nazioni Unite ce lo hanno chiesto. Ci aspettiamo che la comunità internazionale, nel caso si decidesse di arrestare Gheddafi, trovi il modo di consegnarcelo al più presto.Quali saranno le prossime mosse della Corte?Verranno raccolte testimonianze dirette, filmati dalle televisioni, immagini girate dai manifestanti, reportage dei giornalisti, prove offerte dalle organizzazioni non governative. Ogni elemento verrà valutato. Il problema, in casi come questi, è che non sappiamo su quale livello di cooperazione degli Stati possiamo contare. Italia compresa.In che senso?Il nostro Paese, pur avendo sottoscritto l’appartenenza alla giurisdizione dell’Aja (lo statuto della Cpi è stato varato proprio nella Conferenza di Roma del 1998, ndr) non ha ancora adattato i propri Codici alle prescrizioni condivise dai 114 Paesi membri, dunque auspichiamo che nel caso di un eventuale processo alla Libia, Roma anche per vicinanza geografica ci aiuti tanto nella fase investigativa quanto su altri fronti, dall’arresto degli imputati alla protezione dei testimoni nel procedimento contro Gheddafi.Non solo Libia, anche in Tunisia ed Egitto la repressione è stata spietata. Quando la corte indagherà anche su questi casi?Purtroppo neanche quei Paesi sono membri della Corte penale internazionale, dunque non abbiamo su di essi una giurisdizione diretta. Tra le modalità che ci consentirebbero di intervenire le più rapide sono la richiesta (che non è vincolante, ndr) del Consiglio di sicurezza Onu o il riconoscimento della nostra giurisdizione da parte dei nuovi governi, subentrati a quelli sconfitti dalle rivolte popolari.
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