L’ultima in ordine di tempo è stata la rivista medica britannica
The Lancet, che – a proposito dell’efficacia del preservativo nella prevenzione dell’Aids – in un editoriale diffuso ieri ha duramente attaccato il Papa accusandolo di «falsità scientifiche » che potrebbero avere «conseguenze devastanti per la salute di milioni di persone». Anche se colpisce la virulenza dell’attacco da parte di una rivista che pure, in passato, ha ospitato studi e analisi che avanzavano dubbi sul preservativo come «soluzione» all’Aids, l’argomento non è certo nuovo e in queste settimane è stato sbandierato ripetutamente da scienziati, politici, capi di governo. Del resto, già nell’aprile 2005 sulle colonne del giornale britannico
The Guardian si leggeva che «con il suo divieto del preservativo, la Chiesa sta provocando milioni di morti nelle zone dominate dai missionari, in Africa e nel resto del mondo». Come sempre, però, chi lancia queste accuse omette di portare esempi concreti a sostegno di questa tesi. Eppure, dovrebbe essere abbastanza semplice verificarne l’esattezza: siccome la presenza dei cattolici nei Paesi africani varia molto da Paese a Paese, e altrettanto varia è la diffusione dell’Aids, se certe accuse fossero vere si dovrebbe riscontrare una più alta prevalenza dell’infezione nei Paesi dove maggiore è la presenza cattolica. Come i dati pubblicati a fianco segnalano efficacemente, però, non solo tale relazione è smentita dalla realtà, ma addirittura si nota come a un’alta percentuale di cattolici nel Paese si correli a un inferiore tasso di infezioni. La presenza cattolica non è certo l’unico fattore che mantiene bassa la diffusione dell’Aids (fenomeno che si riscontra anche in alcuni Paesi a maggioranza islamica, senza contare il contributo di importanti elementi sociali, culturali ed economici), ma certamente nel suo insieme i dati reali dimostrano che laddove si vive un’esperienza di Chiesa si hanno conseguenze positive anche nella lotta all’Aids. Un fatto che è stato riconosciuto anche dall’UnAids (l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della lotta a questa epidemia) che infatti dal 1999 ha voluto siglare un memorandum d’intesa con Caritas In- ternationalis – tuttora in vigore –, riconoscendo l’efficacia del lavoro della Chiesa nel «promuovere la consapevolezza del problema, soprattutto tra i giovani, nella prevenzione di nuove infezioni, sostenere i diritti di coloro che sono malati, promuovere l’accesso all’assistenza e alle terapie, eliminare le discriminazioni contro i malati a tutti i livelli della società». In effetti, i motivi dell’influenza positiva della Chiesa nella prevenzione dell’Aids vanno ben oltre la tendenza dei cattolici a seguire gli insegnamenti morali del magistero. Gli strumenti principali con cui si manifesta l’attenzione all’integralità e alla dignità della persona umana caratteristica dell’esperienza cattolica sono infatti il lavoro educativo e sanitario, servizi che sono aperti a tutti, cattolici e non. Non a caso la stessa UnAids riconosce che nel mondo il 26% delle strutture sanitarie sono gestite da organizzazioni cattoliche. E nell’Uganda spesso citata a modello nella lotta all’Aids (vedi articolo sotto), le organizzazioni cattoliche gestiscono 27 ospedali (un quarto del totale), 220 unità sanitarie di primo livello e 12 scuole infermieri, mantenendo – secondo il Journal of Medicine and the Person – «un ruolo decisivo nell’erogazione sia dei servizi di base che di alta specializzazione tramandando un prezioso ethos professionale e una cultura di servizio». Non basta, perché – come ha spiegato tempo fa all’agenzia Svipop.org il dottor Giuliano Rizzardini, che vanta una lunga esperienza in Africa nella lotta all’Aids – il punto di forza della Chiesa sta nella «presenza»: «C’è una concezione in Occidente – diceva Rizzardini – per cui, ad esempio, si mandano i farmaci e tutto si risolve. Invece non è così. Le terapie farmacologiche funzionano se sono all’interno di un contesto educativo, che come condizione ha la presenza. È per questo che la rete dei missionari coglie successi anche dal punto di vista sanitario».