sabato 24 settembre 2011
Richiesta in Consiglio di sicurezza: «Siamo l'ultimo popolo sotto occupazione, Israele continua la sua campagna demolitrice». Netanyahu: vuole lo Stato senza pace.
Tre debolezze, una sola via di Giorgio Ferrari
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«Abbiamo tentato tutte le strade per la pace». In una giornata di discorsi storici al Palazzo di Vetro, il presidente palestinese Abu Mazen ha giustificato la sua domanda di riconoscimento di uno Stato palestinese da parte dell’Onu quasi con disperazione. «Ne abbiamo abbastanza – ha detto il leader arabo, raccogliendo l’ovazione dell’Assemblea generale –. Siamo l’ultimo popolo sotto occupazione straniera. Il mondo permetterà a Israele di stare sopra la legge e di rifiutare le risoluzioni dell’Onu e quelle della Corte di Giustizia internazionale?».Poco prima Abu Mazen aveva presentato al segretario generale dell’Onu la richiesta di elevare lo status della Palestina alle Nazioni Unite da entità osservatrice a Paese membro. Una mossa che Usa e Israele hanno cercato per settimane di prevenire, tentando di convocare una nuova tornata di negoziati. Anche ieri i membri del Quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu) hanno annunciato un accordo su una proposta che riporti israeliani e palestinesi al tavolo delle trattative. «Entro un mese» il Quartetto organizzerà una conferenza sul Medio Oriente a Mosca, intanto ha chiesto alle parti una Road map su territorio e sicurezza entro tre mesi e «progressi sostanziali» entro sei mesi al fine di arrivare a un accordo entro la fine del 2012. Ma un’imminente ripresa dei colloqui appare improbabile alla luce dei fatti e delle parole di ieri.Denunciando l’assenza di nuove concessioni da parte israeliana, e nonostante «i metodi aggressivi della diplomazia americana», Abu Mazen non ha rinunciato alla sua domanda di riconoscimento, accusando poi nel suo discorso «la politica colonialista, l’occupazione militarizzata e la discriminazione razziale di Israele» di aver fatto fallire la pace. «Israele continua la sua campagna demolitrice e la sua pulizia etnica verso i palestinesi», ha detto il presidente dell’Anp, parlando dopo il Sud Sudan, l’ultimo stato ad essere ammesso alle Nazioni Unite.Poco dopo il premier israeliano Benjamin Netanyahu criticava i palestinesi di non aver fatto nulla per garantire la sicurezza di Israele, e di volere «uno Stato senza la pace». «Dopo aver firmato un trattato di pace saremo non gli ultimi ma i primi a riconoscere lo Stato di Israele – ha detto – ma è tempo che finalmente anche i palestinesi riconoscano lo Stato ebraico». Il premier ha rinnovato la sua visione di uno Stato palestinese demilitarizzato che non rappresenti una minaccia per Israele, accusando di miopia chi lo invita a fare concessioni territoriali significative. «Tendo la mano al popolo palestinese con il quale vogliamo una pace giusta e durevole», ha detto. Ma la «vera pulizia etnica», ha aggiunto, sarà quella dei palestinesi che, nel loro nuovo Stato, non permetteranno l’ingresso degli ebrei.Il Consiglio di sicurezza – a cui è già giunta la richiesta – prenderà tempo, prima di votare la risoluzione palestinese. L’analisi della commissione che esamina le nuove domande di adesione dovrebbe durare 35 giorni, ma gli Stati membri la possono allungare. Washington vuole convincere la maggioranza dei 15 Paesi del Consiglio a votare contro o astenersi, per evitare l’imbarazzo di dover porre un veto che vanificherebbe gli appelli all’autodeterminazione e alla libertà dei popoli arabi più volte ripetuti da Barack Obama. Al momento è chiaro che Russia, Cina, Sudafrica, India e Brasile sosterranno la petizione palestinese. I cinque Paesi europei non si sono ancora chiaramente espressi e Colombia, Nigeria e Gabon tendono verso la posizione araba.L’Amministrazione Usa ha però già detto che se la risoluzione raccogliesse i 9 voti necessari a passare, la bloccheranno. Ieri l’ambasciatrice Usa all’Onu, Susan Rice, ha esortato ancora palestinesi e israeliani a ritornare al tavolo del negoziato di pace: «Quando i discorsi di oggi finiranno, dobbiamo tutti riconoscere che l’unica via per creare uno Stato è attraverso negoziati diretti, non scorciatoie», ha scritto via Twitter. Dopo l’inevitabile fallimento della risoluzione in Consiglio di sicurezza, la richiesta palestinese verrà presa in esame dall’Assemblea generale, che può solo offrire una promozione a «stato osservatore non membro» – comunque una vittoria politica per i palestinesi. Che in Assemblea il successo della petizione sia garantito, lo hanno dimostrato ieri i frequenti applausi con cui il consesso ha interrotto l’intervento di Abu Mazen. I più scroscianti per un riferimento a Yasser Arafat, ma anche l’apertura del leader arabo a Israele a «venire in pace» e a bloccare gli insediamenti.
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