Alcuni deputati belgi hanno evidenziato il problema delle conseguenze di una tale risoluzione. Ma è stato risposto loro che ancora una volta il Parlamento sarebbe stato un pioniere». A parlare con sgomento è Francis Delpérée, capogruppo dei senatori democristiani francofoni belgi, oltre che costituzionalista di fama insignito di lauree honoris causa negli atenei di mezza Europa. Al cospetto di una questione come la lotta all’epidemia di Aids e nonostante la scia storica controversa del colonialismo belga nell’Africa centrale, il Parlamento ha preferito chiudere gli occhi per lanciare un attacco di stampo 'anticlericale', analizza con amarezza Delpérée, che ha stigmatizzato in aula il «crimine contro l’intelligenza» commesso da certi colleghi. «Spero che questa pagina venga dimenticata e che non produrrà ferite profonde».
Senatore, com’è nata questa risoluzione? «Le dichiarazioni del Papa sono state innanzitutto riportate in Belgio in modo estremamente raffazzonato, per non dire monco. Si è in sostanza lasciato intendere che il Papa ha parlato in Africa di una sola cosa: il preservativo non è sufficiente per lottare contro l’Aids e anzi aggrava la situazione. Il fatto stesso che questa frase sia stata isolata e mal riportata ha suscitato subito reazioni soprattutto nel mondo sanitario. Alla Camera due deputati liberali francofoni hanno presentato una proposta che è stata poi ripresa da altri deputati e altri partiti. La risoluzione mi è parsa fin da subito mal concepita e mal scritta. Ci sono stati degli emendamenti e una maggioranza si è raccolta attorno al testo».
Risoluzioni di questo genere sono comuni? «Non in passato, ma emerge una tendenza nel Parlamento belga di votare risoluzioni su tutto e su nulla. Una risoluzione sulla politica statunitense in America latina, sul pericolo nucleare in Iran, e così via. Queste risoluzioni non hanno affatto il valore di leggi e non rappresentano neppure un messaggio o un’interpellanza al governo. Sono invece quasi sempre l’occasione per uno sfogo politico».
Cos’ha indotto i parlamentari a spingere lo 'sfogo' fino a un simile testo? «Accanto a questo spirito pionieristico mal riposto che accomuna forse in parte questa risoluzione al voto di altre leggi controverse su temi legati alla vita, in questo caso c’è stato comunque soprattutto un rigurgito di anticlericalismo. È parso lampante. C’è stato una sorta di linciaggio contro la persona del Papa sulla base di una mezza frase estromessa dal suo contesto».
Aveva scorto segni premonitori? «Non in modo preciso. Ma c’erano state già polemiche a proposito delle scelte del Papa nei confronti dei lefebvriani e sulla vicenda di Recife. Questo clima, alimentato anche dai media, ha senz’altro giocato la sua parte. Per così dire, l’occasione fa l’uomo ladro».
L’attacco al Papa è stato anche una nuova occasione per eludere il punto di vista degli africani che Benedetto XVI è andato invece a incontrare... «Abbiamo ricevuto proteste dall’Africa contro una risoluzione che è stata interpretata da alcuni come colonialista, cioè, come l’ennesima prescrizione proveniente dall’Europa saccente sul modo in cui gli africani dovrebbero comportarsi. Ma durante il dibattito parlamentare questo e tanti altri aspetti sono rimasti in secondo piano. Visto che si vuol fare provocazione e si intende sviluppare un discorso anticlericale, qualsiasi reazione internazionale in fondo è buona per amplificare il tutto».
Dunque ha prevalso lo spirito provocatorio, privo di un’adeguata riflessione? «No, direi che la riflessione c’è stata. Se parlo di anticlericalismo è anche in ragione di certi senatori che sono giunti a impiegare espressioni come 'crimine contro l’umanità' per qualificare le frasi del Papa. A meno che non si sappia cos’è un crimine contro l’umanità, quando si impiegano simili frasi c’è una chiara volontà di far male. C’è chi si è detto che era forse arrivato il momento giusto per tirare un colpo basso».
Ma queste decisioni non fanno male allo stesso Belgio, com’è accaduto con l’approvazione della legge sull’eutanasia? «In proposito, mi è venuta in mente una vecchia massima latina: Giove rende folli quelli che vuole rovinare. In fondo, come in altri casi, coloro che hanno voluto questa risoluzione si sono detti: dobbiamo andare più lontano possibile, fino a superare la soglia dell’assurdo».
Come giudica la ferita inferta al mondo cattolico belga? «Dopo un mio intervento sulla stampa nazionale, ho ricevuto una valanga di lettere e di messaggi di sostegno. L’opinione pubblica cattolica è scioccata».
Non si è pensato neppure alle reazioni che una tale risoluzione avrebbe suscitato in Europa? «Credo che molti in Europa abbiano riso, prendendo in giro il nostro Paese. Se certe espressioni estreme di alcuni venissero isolate, il Belgio potrebbe sembrare persino già pronto a scontrarsi con le guardie svizzere...».
Vede qualche legame fra queste espressioni estreme e il clima di forte instabilità politica da tempo attraversato dal Paese? «Non direttamente. Ma è vero che nella classe politica sta emergendo la pericolosa tentazione di voler fare la morale a destra e a manca. Non occorre dimenticare inoltre che fra qualche settimana ci sono le elezioni e che forse ad alcuni l’occasione è sembrata propizia per esibire un discorso più laicista di quello di altri, almeno con gli occhi puntati a una parte dell’elettorato. Del resto, a esprimersi è stato il Parlamento, non certo il governo».