L’evoluzione della crisi israelo- palestinese, con il lancio di missili di Hamas sul territorio d’Israele e la risposta militare delle forze israeliane, è seguita con crescente preoccupazione dai cristiani di Terra Santa. Come era già capitato durante la seconda Intifada, nella guerra con il Libano del 2006, nel corso dell’operazione Piombo Fuso (27 dicembre 2008 - 18 gennaio 2009) e nel novembre 2012, con l’intervento denominato Pilastro di sicurezza, l’inasprimento del conflitto ha peggiorato anche le condizioni di vita per i circa 180mila fedeli delle varie confessioni. I palestinesi cristiani che vivono all’interno delle Stato d’Israele (oggi soprattutto concentrati in Galilea) affrontano queste crisi con un crescente incupimento. La paura e la sfiducia nell’altro (a maggior ragione dopo gli episodi del rapimento e dell’uccisione a giugno dei tre ragazzi ebrei e della vendetta operata a inizio luglio su un ragazzo palestinese a Gerusalemme Est) stanno ulteriormente minando le basi di una convivenza che aveva trovato, tra alti e bassi, un suo delicato equilibrio. Nei Territori il clima è ovviamente più teso. Qui i cristiani, come il resto della popolazione palestinese, soffrono le conseguenze dell’occupazione. Ma il sangue e la violenza che stanno toccando la Terra Santa portano con sé – inevitabilmente – un inasprimento nel controllo del territorio, con posti di blocco e rastrellamenti nelle aree considerate a rischio d’infitrazioni terroristiche. Nulla è paragonabile alla sofferenza dei cristiani che vivono a Gaza, sotto le incursioni israeliane, ma domina ovunque un senso di timore e insicurezza. Per alcuni contesti legati soprattutto al flusso dei pellegrini, come Betlemme o Beit Shaour, la crisi attuale sta determinando anche una grave battuta d’arresto per l’economia. Secondo fondi di stampa israeliane, dall’inizio dell’operazione Confine protettivo ci sarebbe stato un brusco calo d’ingressi nel Paese: circa il 30 per cento. Una situazione che, se dovesse perdurare, potrebbe sfociare (come avvenuto nel 2006 e nel 2009) in una perdita secca di posti di lavoro nel settore del turismo, che vede impegnati in gran numero palestinesi cristiani. Nel recente passato il fenomeno portò con sé anche una ripresa dell’emigrazione delle famiglie cristiane, specialmente verso Nord Europa e Stati Uniti. Oltre all’impatto a livello economico, a preoccupare i cristiani di Terra Santa è anche il timore di poter essere oggetto di rappresaglie o violenze. Episodi del genere non sono mancati in passato, ad opera delle frange più estreme dell’islam politico, specie a Gaza, dove imperversano, oltre ad Hamas, vari gruppi jihadisti. Ma è un fatto che la radicalizzazione dell’islam in tutto il Medio Oriente, con l’arrivo sulla scena delle fazioni fondamentaliste vicine ad al-Qaeda, stia riscuotendo simpatie anche in altri contesti palestinesi. Non a caso, a stigmatizzare il clima d’intolleranza e di violenza, è intervenuta anche la Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa in un testo dal titolo: «Appello per un cambiamento coraggioso».Il discorso parte dalle tristi cronache di giugno e luglio, ma si allarga alla necessità che si spezzi – in virtù di un cambiamento di mentalità radicale – il circolo vizioso che genera violenza. E che tocca indistintamente le parti in campo. «Spezzare questa spirale – scrive Giustizia e Pace – è un dovere per tutti, oppressori e oppressi, vittime e carnefici. Per perseguire questo obiettivo tutti dobbiamo riconoscere nell’altro un fratello o una sorella da amare e custodire, piuttosto che un nemico da odiare ed eliminare».