Una risposta ai cambiamenti in atto sul fronte dell’adozione. Questo vuole essere il libro “Adozione mite, adozione aperta e ricerca delle origini”, potenzialità e rischi dei contatti tra genitori adottivi, persona adottata e famiglia di origine, a cura degli psicologi e psicoterapeuti Marco Chistolini e Giovanna Beck (Franco Angeli, 228 pagine, 30 euro). Su questi temi delicati e complessi abbiamo rivolto alcune domande a Marco Chistolini, responsabile scientifico del Ciai (Centro italiano Aiuti all’Infanzia), ente del Terzo settore attivo da quasi sessant’anni in Italia e all’estero.
Che differenza c’è fra adozione mite e adozione aperta?
L’adozione mite si realizza in base all’articolo 44 della legge 184/1983. In questo caso non si interrompe il legame giuridico tra il minore e la famiglia di origine. Quindi implica anche il mantenimento delle relazioni in casi particolari. Veniva chiamata anche adozione semplice, non legittimante. Mentre l’adozione aperta è un’adozione piena che interrompe qualsiasi legame giuridico fra il minore adottato e la famiglia biologica, ma che prevede, su decisione del giudice, il mantenimento di una qualche forma di contatto fra il minore e la famiglia di origine. Quindi nell’adozione mite si mantiene il legame giuridico e in entrambi i casi si mantiene il legame fra minore e famiglia biologica.
Quali scenari si aprono con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2023?
Questo lo capiremo nel tempo. La sentenza ha avuto un significato molto rilevante perché ha riconosciuto la possibilità di mantenimento del rapporto con la famiglia di origine anche nell’adozione piena. Ha introdotto un cambiamento che era già avvenuto in via giurisprudenziale, ma che oggi ha l’avvallo dalla Corte Costituzionale. È vero anche che le condizioni in cui la Consulta ha stabilito che questo possa avvenire sono circoscritte e cioè il giudice può valutare l’utilità di un mantenimento dei legami qualora l’interruzione di un rapporto socio-affettivo consolidato e utile alla crescita del bambino sarebbe di danno. Per ora stiamo osservando che l’interpretazione dei giudici sembra molto più estensiva di quanto pensassimo, per esempio, si valuta l’applicazione dell’adozione aperta anche con i bambini neonati, dove il legame non c’è, non si è costruito. Del resto, vediamo che a livello internazionale l’idea dell’adozione aperta è diffusa e potremmo dire che è anche un po’ di moda. Per questo occorre vigilare che si facciano adozioni aperte davvero nell’interesse del minore e che non si percorrano scorciatoie per accontentare un po’ tutti: la famiglia di origine e la famiglia adottiva. Il rischio è che sia una decisione un po’ pilatesca. L’intento del libro è proprio quello di portare un contributo di conoscenza e di riflessione che guidi nelle decisioni gli addetti ai lavori per prendere le decisioni dopo un’attenta valutazione delle variabili in gioco.
Quali i benefici e quali i rischi nel mantenere i legami con la famiglia di origine?
I benefici consistono nel poter costruire una identità, una storia personale più completa. Uno dei punti più critici della storia di molte adozioni è quello di confrontarsi con il vuoto di informazioni e una mancanza di radici che spinge le persone adottate alla ricerca delle origini. Inoltre, è uno stimolo per i genitori adottivi a parlare del prima, a tenerlo vivo e a non mandarlo nel dimenticatoio. Per contro, i rischi delle potenziali controindicazioni risiedono nei possibili comportamenti disturbanti da parte della famiglia di origine, che può avere problemi psichiatrici, di dipendenza da sostanze, condotte delinquenziali. Ma può anche accadere, per esempio, che la mamma naturale, dopo qualche anno si riprenda dalle difficoltà, e abbia un’altra gravidanza. La nascita di questo bambino potrebbe rappresentare un elemento perturbativo per il minore adottato. Oppure si potrebbe presentare un conflitto di appartenenza. I genitori o i fratelli biologici potrebbero, cioè, dire all’adottato che in realtà sono loro i veri genitori o fratelli mettendo a repentaglio il percorso di costruzione di un legame di appartenenza con la nuova famiglia.
Cosa ci dicono le esperienze di incontro con i familiari biologici?
Sono storie istruttive di un mondo complesso e ambivalente di aspettative, speranze, gioie e paure, fatiche e dolori che rendono in modo realistico la complessità di questi legami. Mantenere queste relazioni è un percorso impegnativo, per questo le persone devono essere preparate e accompagnate.
A chi è rivolto il libro?
A tutti gli interessati e in particolare agli specialisti. Si propone di essere uno strumento con tanti contributi su un tema molto attuale che richiede di essere affrontato con competenza, rigore e cautela. C’è anche un capitolo dedicato alle ricerche internazionali. Non bisogna muoversi sulla base delle emozioni e delle impressioni, ma occorre avere una visione di insieme di tutte le variabili in gioco e governare questi processi complessi perché possano dare effetti benefici e non creare pregiudizio e sofferenza.