domenica 2 marzo 2025
Davvero il piccolo abbandonato dalla madre a Palermo è rimasto due mesi in ospedale per la mancanza di "famiglie ponte"? La "Papa Giovanni XXIII": urgente rilanciare l'affidamento familiare
Il caso del piccolo Ivan e quell'affido introvabile

Foto Siciliani

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In queste settimane parliamo spesso di affido familiare. Lo facciamo attraverso storie positive, capaci di raccontare quanto sia importante aprire il cuore e le porte di casa a un bambino che ha perso, momentaneamente o definitivamente, il sostegno dei suoi genitori. Ma dobbiamo farlo anche per situazioni più complesse, come quella che riguarda Ivan, il neonato abbandonato in ospedale dalla madre a Palermo nel dicembre scorso e che sarebbe andato in affido preadottivo negli scorsi giorni, a oltre due mesi dal fatto. Notizia che però il Tribunale per i minorenni di Palermo non ritiene di dover confermare

La storia del bambino e della madre, trovati casualmente in un giaciglio di fortuna in un cantiere edile del capoluogo siciliano, ha suscitato molto clamore. Anche perché, subito dopo il ricovero in ospedale, la madre ha fatto perdere le tracce. Nelle ore successive la procura per i minorenni di Palermo aveva chiesto e ottenuto dal Tribunale l'adottabilità del neonato, ma i tempi si sono allungati e per due mesi il neonato è rimasto ricoverato nel reparto di ostetricia.

Nel frattempo, numerosi media hanno cercato di approfondire la questione. Chi era quella donna? Come mai si trovava in quella situazione? Possibile che nessuno si fosse accorto della sua gravidanza? Possibile che nessuno l’abbia aiutata? E come mai sono trascorsi oltre due mesi prima di trovare una collocazione più adeguata a questo piccolo? Domande legittime che ci eravamo posti anche noi ad Avvenire (leggi qui). Peccato che qualche giornalista sia andato oltre, pubblicando su alcuni media locali le generalità del piccolo e della madre. Scelta assolutamente negativa, sia per quel diritto alla privacy e al rispetto che si deve soprattutto alle persone più fragili, sia perché in questo modo è stato reso più complesso il compito delle autorità giudiziarie preposte ad occuparsi della vicenda.

Sulla questione è intervenuto anche Matteo Fadda, presidente dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, in una lettera al nostro Direttore: “La storia del piccolo Ivan fa riflettere per tanti aspetti. Il dramma di una donna incinta di cui forse nessuno si è accorto per nove mesi; l’assurdità dei tempi burocratici così lunghi da non riuscire ad offrire una famiglia adottiva ad un neonato in stato di abbandono. Soprattutto l’ingiustizia di lasciare per due mesi in ospedale un neonato senza intraprendere altri percorsi temporanei per rispondere nell’immediato ai bisogni prioritari dei bambini: sperimentare un nutrimento, un accudimento “caldo”, delle relazioni e la cura di una famiglia che li accolga nella quotidianità fin dai primi giorni di vita. Il bisogno di figure genitoriali è un bisogno acuto e profondo. Il primo bisogno di un bambino è quello di sentirsi accolto, di esistere per qualcuno, solo così crescerà sicuro. Il bisogno di sicurezza va soddisfatto a tutti i costi”.

“Quale migliore risposta se non l’affidamento familiare? L’affidamento familiare è la risposta immediata per far sì che bambini adottabili non debbano vivere in ospedale o in comunità in attesa che si trovi la famiglia adottiva per loro. La legge che disciplina l'adozione e l'affidamento ribadisce che “il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno” e che “ove non sia possibile l'affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare”.

Pertanto, occorre promuovere l’accoglienza temporanea di questi bambini in famiglie affidatarie ben formate – scrive ancora il presidente della “Papa Giovanni XXIII” - che sappiano accogliere, nutrire e fare un pezzetto di strada con loro per poi favorire un buon passaggio verso la famiglia adottiva. Per questi bambini è spesso preferibile la separazione, prevista e preparata, da una famiglia affidataria con cui si è stabilito un profondo legame ed il suo accompagnamento verso un'altra famiglia, piuttosto che l'assenza di una precoce esperienza di attaccamento e la permanenza in un ospedale o in una comunità. Don Oreste Benzi ripeteva che “i poveri non possono aspettare”. E questo vale ancor di più per i bambini. È necessario inserire precocemente i bambini in famiglia, in situazioni come quelle del piccolo Ivan”.

Parole che sottoscriviamo totalmente. Il caso di Ivan va letto nella sua complessità, calandolo nella particolare realtà palermitana. In assenza, come detto, di notizie ufficiali da parte del Tribunale per i minorenni – abbiamo interpellato la presidente facente funzione Alessandra Puglisi, che però non ci ha ancora risposto – dobbiamo accontentarci di quanto siamo riusciti a raccogliere. Solitamente, quando si verifica un caso di abbandono di minori in ospedale, il Tribunale dispone l’affidamento provvisorio del neonato a una “famiglia ponte”, coppie o singoli preparati dal punto di vista dell’accudimento e della gestione emotiva della situazione. In questi momenti non serve un affido generico, non servono solo persone di buona volontà. Servono anche nozioni “tecniche”. Famiglie cioè, non solo in grado di intervenire quasi senza preavviso, ma con una formazione specifica per gestire il momento ed occuparsi in modo adeguato del piccolo per qualche settimana. Peccato che a Palermo – circostanza confermata da più parti - non ci siano associazioni che formano le “famiglie ponte” e, nell’impossibilità di trovare qualcuno preparato ad accogliere un neonato, sia stato giocoforza lasciarlo in ospedale per due mesi.

Non va neppure dimenticato che il caso della povera madre “costretta” a lasciare il figlio in ospedale, non si possa configurare come “parto in anonimato” (Dpr 369/2000, art.30, comma 2). Ivan è venuto alla luce in strada, su un giaciglio di cartoni e la donna si sarebbe poi allontanata dall’ospedale senza firmare alcun consenso all’adozione. Non ci sarebbe stato neppure il tempo di informarla dei suoi diritti. Circostanza che avrebbe reso ancora più complesso l’intervento del tribunale.

Giusto allora, come fa Matteo Fadda, sottolineare “l’ingiustizia di lasciare per due mesi in ospedale un neonato”, ma possiamo tentare di dare nomi e volti a questa ingiustizia, che di volta in volta si può chiamare inefficienza, inadeguatezza, impreparazione? I giudici minorili, per intervenire in modo rapido e giusto, hanno bisogno della società civile. Hanno bisogno di una rete familiare adeguata, dove la presenza di coppie affidatarie sia punteggiata in modo specifico da “famiglie ponte” con particolari capacità di accudimento dei neonati. E non ci si può improvvisare. Ecco perché il caso di Ivan e le polemiche che ne sono seguite possono diventare una straordinaria occasione di bene per l’associazionismo familiare, per quelle realtà che già operano in modo egregio sul territorio palermitano nel mondo dell’affido e dell’adozione, ma che adesso hanno l’opportunità di concentrare le energie verso un bisogno reale e urgente. Anche per proteggere, accogliere e accudire nel modo migliore i piccoli più fragili, la strategia migliore si chiama alleanza.

Le istituzioni, i tribunali, i servizi sociali – per quanto siano attrezzati ed efficienti – non possono fare nulla da soli se associazioni e comunità, civili ed ecclesiali, non fanno la loro parte. Speriamo di poter raccontare a breve che questo vuoto è stato colmato.

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