martedì 8 marzo 2022
L’organizzazione non profit The Good Lobby e la start up Progressive shopper hanno analizzato il comportamento di cento grandi aziende, tra le quali venti italiane
Un indice analizza il comportamento delle grandi aziende nei confronti della Russia di Putin

Un indice analizza il comportamento delle grandi aziende nei confronti della Russia di Putin - Ansa

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Da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, un numero crescente di società ha smesso di operare in Russia. Ma sono ancora tante quelle rimaste in silenzio, interessate più all’aspetto economico che a quello umano. Le forniture di gas stanno continuando come se la guerra e gli affari fossero due binari paralleli. Le raccolte – di fondi, indumenti, cibo e medicine – si moltiplicano ma c’è anche un altro modo per dire di no, nel quotidiano, al conflitto alle porte dell’Europa. Attuare scelte di consumo consapevoli scegliendo prodotti e servizi di aziende che condannano la guerra e si sono attivate direttamente. È nato con questa intenzione di rendere il cittadino protagonista il 'Corporate Index delle aziende a sostegno dell’Ucraina'.

Un indice realizzato dall’organizzazione non profit The Good Lobby e dalla start up Progressive shopper mappando le donazioni e le scelte pubbliche diffuse tramite stampa, siti internet e social. Sotto la lente d’ingrandimento – con un sistema di valutazione semaforico con tanto di bollino rosso, giallo e verde – per il momento sono finite un centinaio di aziende, di cui una ventina italiane. L’indice, aggiornato quotidianamente, ed è accessibile a tutti sul sito di The Good Lobby. «Investitori, clienti e cittadini meritano di sapere da che parte del conflitto russo-ucraino stanno le aziende e i marchi» sottolinea il professor Alberto Alemanno, fondatore dell’organizzazione nata nel 2015 in Belgio. Federico Anghele responsabile italiano di The Good Lobby spiega che le grandi aziende stanno prendendo un passo nella direzione giusta, denunciando l’invasione russa e facendo donazioni a favore dell’Ucraina. Sospendendo le forniture e gli acquisti, chiudendo uffici e negozi. Le italiane si muovono un po’ in ritardo rispetto ai grandi gruppi mondiali. «Tra le più virtuose c’è Generali che ha donato tre milioni di euro, è uscita dal bord di un’azienda russa e ha chiuso i suoi uffici di rappresentanza di Europe Assistance. Intesa San Paolo e Stellantis hanno fatto una condanna pubblica e una donazione, ma altre grandi realtà non hanno ancora preso posizione – sottolinea Anghele –. Mappare il comportamento dei brand ci è sembrata una cosa concreta che potevamo fare, continueremo ad aggiornare i cittadini sperando in una spinta diplomatica che abbia effetti concreti». L’auspicio è che le aziende sinora rimaste in silenzio, escano dall’ombra.

A livello mondiale sono soprattutto le 'Big tech' ad essersi mobilitate. Elon Musk, patron di Tesla, si è speso in prima persona assicurando al governo ucraino le attrezzature per utilizzare la sua rete satellitare StarLink per l’accesso a internet a banda larga. Netflix, Tiktok, Facebook e Twitter hanno bloccato i loro servizi in Russia. Apple, Ikea e il colosso dell’abbigliamento Inditex, di cui fa parte Zara, sono tra i tanti marchi che hanno chiuso i negozi. Di contro sono le società energetiche, come la Shell finita nel mirino per il petrolio russo acquistato a prezzi stracciati, quelle che mantengono ancora un filo rosso con la Russia.

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