«La busta arancione è un grande passo in avanti. Dovremmo essere grati a Boeri, perché non è stato semplice vincere le resistenze della politica e dei sindacati. Siamo un Paese ancora troppo ideologizzato».
Alberto Brambilla, docente all’Università Cattolica, uno dei massimi esperti di previdenza, elogia l’iniziativa del presidente dell’Inps.
Davvero una generazione di giovani rischia il proprio futuro? Questi allarmismi non fanno bene. Sono operazioni ideologiche e di facciata che non danno serenità. Il nostro sistema previdenziale è tra i migliori in Europa. L’Ocse ne ha dichiarato la sostenibilità e l’offerta dei servizi è adeguata. Certo, servono dei miglioramenti. La busta arancione, per esempio, è un indicatore: una bussola per i lavoratori che sapranno in anticipo l’ammontare della propria pensione e che potranno scegliere o meno la previdenza integrativa.
Cosa serve per migliorare il nostro sistema pensionistico? Escluderei revisioni integrali e interventi una tantum. Contributi di solidarietà e tassazione delle pensioni d’oro non servono. Il reddito minimo di cittadinanza non è funzionale ad una vera consapevolezza previdenziale e ci costerebbe 20 miliardi di euro. Molto più efficace la flessibilità in uscita. La proposta Damiano-Baretta è interessante: dà la possibilità di anticipare di quattro anni la pensione, tenendo conto di chi a 60 anni ha problemi di salute e non ce la fa più a lavorare. O chi deve assistere un familiare ammalato. La cosa peggiore, comunque, è spaventare giovani e pensionati.
In che senso? Siamo tra i popoli con la più alta aspettativa di vita. Gli italiani sono tra i 600 milioni di persone tutelate dal punto di vista della salute e della pensione. Il sistema italiano regge bene in quanto il lavoratore sa che dopo 35 anni di contributi può godere di un trattamento pensionistico. Spesso dimentichiamo che in alcuni Paesi come Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Giappone si può essere licenziati in qualsiasi momento e non esistono le nostre tutele. Non c’è più il mito del posto fisso. Nei prossimi 15 anni avremo un mercato del lavoro difficile a causa della globalizzazione e della concorrenza dei Paesi in via di sviluppo. Le riforme e la libera iniziativa dei giovani sono valide opportunità.