Occupazione stabile nel terzo trimestre dell’anno, con una lieve flessione, ma con una serie di campanelli di allarme dall’aumento degli scoraggiati alla crescita al rallentatore degli stipendi lontana anni luce dai livelli dell’inflazione, all'aumento delle diseguaglianze territoriali e di genere.
Il tasso di occupazione è rimane stabile al 60,2%, sui livelli più alti dal 2004, inizio delle serie storiche. Gli occupati durante il periodo estivo (luglio-settembre) sono diminuiti di 12 mila unità rispetto al secondo trimestre (-0,1%) attestandosi a quota 23 milioni 126mila, a seguito della diminuzione dei dipendenti a termine (-59 mila,) non compensata dall'aumento di quelli a tempo indeterminato (+34mila) e degli indipendenti (+12 mila). Rispetto all’anno scorso gli occupati sono 247mila in più.
Una dinamica parzialmente diversa è segnalata dall’Istat per il mese di ottobre con un aumento del numero di occupati (+82 mila, +0,4%) e del tasso di occupazione (+0,2 punti). Tra i dati diffusi dall’Istat quello sull’aumento delle retribuzioni lorde dei lavoratori dipendenti: cresciute di uno 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2021, percentuale molto lontana da quelle a doppia cifra dell’inflazione. Un altro dato preoccupante riguarda il Mezzogiorno dove l’occupazione è cresciuta la metà rispetto al resto del Paese, dopo dodici trimestri consecutivi molto favorevoli. Da segnalare infine l’aumento degli scoraggiati che non cercano lavoro perché sono convinti di non riuscire a trovarlo: sono un milione e centomila, l'8,4% in più rispetto al 2021 (+86mila). Un incremento che riguarda soprattutto gli uomini (+11,6%) mentre le donne sono più fiduciose (+6,2%). L’altra faccia della medaglia è il calo dei disoccupati che scendono sotto i due milioni (1,98 milioni), per la prima volta dal 2011. Il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre è sceso al 7,9%, valore minimo dal 2009. Rispetto al terzo trimestre 2021 i disoccupati sono 284mila in meno.
Il 2022 è stato un anno positivo per l'occupazione, almeno nella sua prima fase. Una ripresa che ha avvantaggiato relativamente i lavoratori più giovani, ma con forti differenze, e che si è accompagnata alla crescita del fenomeno del mismatch tra domanda e offerta. Il XXIV Rapporto del Cnel "Mercato del Lavoro e Contrattazione Collettiva", presentato questa mattina evidenzia come nei primi 9 mesi dell'anno, su quasi 420mila nuove assunzioni mediamente previste, 170mila (40,3%) risultano di difficile reperimento. Nello stesso periodo del 2019, erano il 28,2%. Nei prossimi questo trend è destinato ad aumentare con gravi criticità per le professioni tecniche legate alla transizione digitale e nei settori della sanità e dei servizi sociali.
Si stima che tra il 2022 e il 2026 il mercato del lavoro italiano potrà avere bisogno di 4,1-4,6 milioni di occupati. Oltre il 60% del fabbisogno riguarderà il possesso di competenze green in chiave di sostenibilità e le maggiori criticità si manifesteranno in un ventaglio di professionalità caratterizzate da un elevato grado di difficoltà di reperimento: medici, infermieri, fisioterapisti, professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali. Difficoltà simile anche per professioni cruciali per gli avanzamenti nei processi di innovazione tecnologica e transizione digitale: specialisti in scienze matematiche e informatiche, tecnici ICT, ingegneri e tecnici in campo ingegneristico.
Il miglioramento nel mercato del lavoro nel 2022 ha coinvolto soprattutto i giovani il cui tasso di occupazione ha raggiunto il 44,2%, non si registrava dall'inizio del 2012. Secondo l'analisi Cnel, il mercato del lavoro sta mostrando una sostanziale tenuta. La parziale riduzione della disoccupazione, però, si accompagna a un ampio ricorso a forme di orario ridotto: casse integrazioni e part time spesso involontario. Si è modificato il concetto di disoccupazione e permangono disparità nelle opportunità di lavoro: favoriti coloro che hanno livelli di scolarizzazione più alti, penalizzate ancora le donne. I settori in cui sono meno presenti sono quelli in cui gli investimenti e il peso finanziario del Pnrr è più rilevante e questo rischia di ampliare il gender gap. Le donne italiane hanno un tasso di inattività del 30% che sale al 40% tra le straniere.
La quota di immigrati sul totale della forza lavoro tra 25 e 55 anni è passata dall'11% del 2009 al 16% del 2020. Gli immigrati hanno tassi di occupazione, disoccupazione e inattività non molto lontani da quelli degli italiani: l'elevata occupabilità degli stranieri è in larga parte riconducibile all'ampia richiesta di lavoro flessibile, poco qualificato, e a basso costo. Questo crea delle nicchie di specializzazione, se non una vera e propria "etnicizzazione". Gli immigrati uomini si concentrano soprattutto nel settore agricolo (+4,2 punti percentuali rispetto agli italiani), in quello edile (+10,2) e in quelli alberghiero e della ristorazione (+3,9). Le donne straniere sono invece più presenti nel settore alberghiero e della ristorazione (+6,7%) e, soprattutto, in quello dell'assistenza domestica e di cura della persona (42,7% del totale, mentre tra le italiane è pari al 7,3%