Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'Istat - Fotogramma
“C’è stato un blocco rispetto alla speranza di ripresa”. Parole pesanti come macigni, che diventano ancor più oppressive nel loro seguito: la previsione era di arrivare in aprile al Pil prepandemia, “ma non sarà così”. E questo a causa del conflitto russo-ucraino. Le parole sono quelle del presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo: il manager ribadisce la stima dell’Istituto di statistica su un possibile impatto negativo del conflitto di 0,7 punti di Pil. Ma, puntualizza, il rischio è che i valori possano diventare “decisamente più grandi”. E sulla questione inflazione osserva: “Come statistiche ufficiali non siamo in grado di poter dare un’indicazione rispetto a qualcosa che non è sotto controllo” perché “viviamo praticamente alla giornata”, in un contesto dove il livello dei prezzi è “preoccupante”, soprattutto per le famiglie meno abbienti e dove, peraltro, “non c'è nulla che faccia sperare che le cose possano migliorare”.
Un altro aspetto viene preso in considerazione dal presidente Istat, quello sugli impatti che la guerra potrebbe avere sulla natalità. “La popolazione italiana è scesa sotto il livello dei 59 milioni, è tornata indietro al livello del 2006, con una tendenza che va avanti dal 2014”. Una popolazione che continua a diminuire “ed era successo solo nel 1917-1918. La paura è che questo nuovo effetto paura per la guerra possa indurre a rimanere in attesa, a rinviare progetti di maternità e paternità che poi diventa una rinuncia” osserva Blangiardo che, peraltro è anche un demografo. Allo stesso tempo, aggiunge, l’ondata di profughi ucraini sicuramente avrà un impatto sulla demografia dello Stivale, “aumenterà le presenze” e “la componente straniera” presente in Italia di “5,2 milioni circa potrebbe accrescere in modo importante”.
Le dichiarazioni di Blangiardo creano apprensione tra i consumatori: “L’Istat conferma gli allarmi lanciati a più riprese da Assoutenti nelle ultime settimane circa l’emergenza prezzi e le ripercussioni sulle tasche delle famiglie – afferma il presidente Furio Truzzi –. Con la situazione attuale, si va verso una inflazione superiore al 6% a marzo, riportando l’Italia ai livelli del 1989, quando i prezzi registrarono una impennata del +6,3%. Le ripercussioni dirette sulle tasche dei consumatori sarebbero pari a circa +2.500 euro a famiglia, con effetti negativi sui consumi e sul Pil”. Per questa ragione, osserva in conclusione Truzzi, “riteniamo che l’unica strada percorribile sia un ritorno ai prezzi amministrati per i generi di prima necessità come gli alimentari e per i beni strategici come carburanti, elettricità e gas, e chiediamo al Governo di attivarsi con urgenza in tale direzione”.