Dire ricchezza o benessere non è la stessa cosa. È noto, infatti, che il benessere non è misurabile solo in termini economici, per gli Stati come per le persone. Ciononostante, come misura più prossima del benessere si continua ad assumere il Pil, il Prodotto interno lordo. Che però da decenni è criticato perché, come già nel ’68 disse Robert Kennedy in un celebre discorso, il Pil non misura «ciò che rende la vita degna di essere vissuta ».
Il rischio è di continuare a vedere nella crescita del Pil l’obiettivo massimamente desiderabile, al limite l’unico possibile, capace di oscurare ogni altra considerazione di ordine sociale o ambientale. Negli ultimi anni, però, complice la crisi, qualcosa sta cambiando. I sostenitori della necessità dell’introduzione di indicatori alternativi 'oltre il Pil' hanno avuto più ascolto, a livello internazionale come nel nostro Paese. E ora l’Italia, grazie a un progetto congiunto Cnel-Istat, si pone all’avanguardia. Perché proprio nei giorni del Summit sullo sviluppo sostenibile 'Rio +20' sono stati resi noti gli indicatori con cui si inizierà a misurare il Bes, il Benessere equo e sostenibile. Un indicatore dove a fianco di quantità economiche trovano posto misure non economiche ugualmente fondamentali per progettare politiche pubbliche e, prima ancora, per capire cosa si debba davvero intendere per progresso. Il Bes prevede 134 indicatori, suddivisi in dodici macro-dimensioni o domini: c’è il benessere economico ma anche l’ambiente, la salute, la sicurezza; poi istruzione e formazione, ricerca, conciliazione famiglia-lavoro e relazioni sociali; e an- cora benessere soggettivo, patrimonio culturale, qualità dei servizi, politica e istituzioni. In fatto di conciliazione famiglia-lavoro, ad esempio, si vanno a misurare l’asimmetria nel lavoro familiare e il rapporto tra tasso di occupazione delle 25-49enni con figli in età prescolare e delle donne senza figli. Per l’ambiente si considerano qualità dell’aria, disponibilità di verde nelle città, aree marine protette, biodiversità, emissioni Co2. E in relazione al patrimonio culturale si valutano anche la presenza di paesaggi rurali storici, la spesa pubblica per musei e biblioteche, il tasso di urbanizzazione delle aree con vincolo paesaggistico. Mentre per le relazioni sociali, uno degli aspetti più innovativi del Bes, si guarda al numero di organizzazioni non profit e cooperative sociali ogni 10mila abitanti, al senso di 'fiducia generalizzata', alla diffusione del volontariato e alle attività ludiche dei bimbi piccoli coi genitori. Da sottolineare come i lavori per la messa a punto del Bes abbiano seguito un processo altamente partecipato. Nel Comitato d’indirizzo costituito a fine 2010 da Cnel e Istat hanno trovato posto le rappresentanze della società civile. E un sito dedicato ha consentito ai cittadini di pronunciarsi su cosa sia per loro rilevante quando si pensa al benessere. Il primo Rapporto sul benessere in Italia arriverà già a fine anno. Ma il messaggio più importante del Bes, nonostante si tratti di misure, è fatto di altro: speranza e ottimismo. Proponendosi non di sostituire il Pil, ma di affiancarlo e completarlo, il Bes indica infatti che un modo diverso di vedere le cose è possibile, forse indispensabile. Che non tutto nella vita è riconducibile alla sfera economica. E che il benessere, specie in una prospettiva di lungo periodo, è qualcosa di molto più ampio e complesso. Provare a darne una misura è il primo passo per conseguirlo.