Una protesta dei rider per il riconoscimento dei diritti a Roma - Fotogramma
La Commissione europea interviene per tutelare i lavoratori delle piattaforme digitali con nuove norme che spaziano dalla definizione del livello di retribuzione e dell'orario di lavoro al codice di abbigliamento. Bruxelles ha stilato una lista di criteri per inquadrare i lavoratori della gig economy come dipendenti e spingere la loro assunzione.«I lavoratori delle piattaforme digitali devono avere lo stesso livello di tutele che hanno gli altri lavoratori se svolgono lavoro dipendente» ha detto il vicepresidente Ue, Valdis Dombrovskis, presentando il pacchetto di proposte della Commissione Ue.«Le piattaforme di lavoro digitali hanno un grande potenziale di innovazione, ma le persone che forniscono questi servizi hanno spesso scarso accesso alle protezioni sociali» ha spiegato Dombrovskis, evidenziando che nell'Ue sono 28 milioni i lavoratori delle piattaforme, un numero che potrebbe arrivare a 43 milioni entro il 2025. In Italia le stime parlano di un milione di lavoratori della gi-economy di cui 60mila rider.
Secondo una prima valutazione con le nuove norme fino a 4,1 milioni di lavoratori potrebbero veder cambiare il loro status tra i 5,5 milioni considerati autonomi in modo erroneo. Si stima che gli Stati membri riceveranno tra 1,6 e 4 miliardi di euro all'anno di contributi annuali quando i falsi lavoratori autonomi saranno correttamente classificati come lavoratori dipendenti, a seconda di quante persone verranno riclassificate.
In particolare, sono stati individuati cinque criteri per definire se un lavoratore è da considerarsi autonomo o dipendente. È sufficiente che siano soddisfatti due criteri per definire il lavoratori un dipendente e la piattaforma un datore di lavoro. I cinque criteri servono a determinare il grado di controllo che ha la piattaforma sul lavoratore e sono: determinazione del livello di remunerazione o di limiti massimi; controllo sull'esecuzione del lavoro con mezzi elettronici; limitazione della libertà di scelta dell'orario di lavoro o dei periodi di assenza, di accettare o rifiutare incarichi o di avvalersi di subappaltatori o sostituti; determinazione di specifiche regole vincolanti in ordine all'aspetto, alla condotta nei confronti del destinatario del servizio o all'esecuzione dell'opera; limitazione della possibilità di creare una base di clienti o di eseguire lavori per terzi. Le piattaforme avranno l’onere di dover dimostrare che i loro lavoratori non sono dipendenti e in caso contrario dovranno ademmpiere ai loro obblighi per quanto riguarda l'erogazione di salari minimi (ove esistenti) o il rispetto dell'orario di lavoro e i congedi annuali e per motivi familiari.
«Nessuno sta cercando di uccidere, fermare o ostacolare la crescita delle piattaforme, siamo tutti impegnati nello sviluppo di questa economia perché corrisponde a una domanda nella nostra società, e vogliamo che prosperi. Ma questo modello di business dovrebbe anche adattarsi ai nostri standard, compresi quelli sociali» ha aggiunto il commissario europeo al Lavoro, Nicols Schmit. «Ottima direttiva Ue per le grandi piattaforme digitali. Chi viene utilizzato come dipendente (5/6 milioni) dovrà avere diritti adeguati. Tutti (28 milioni) potranno discutere come gli algoritmi definiscono i compiti di ciascuno» ha commentato su Twitter il commissario europeo per l'Economia, Paolo Gentiloni.