sabato 5 ottobre 2024
La città cede dopo cinque anni la vetta nella graduatoria del Rapporto BenVivere
Bolzano perde lo scettro: carovita e meno nascite spingono al ribasso
COMMENTA E CONDIVIDI

Come il re Laurino perde i poteri della sua cintura magica nelle leggende dolomitiche, Bolzano cede la vetta occupata per ben cinque anni nella graduatoria del Rapporto BenVivere. Più che una scivolata, è una caduta rovinosa, giù di ben nove posizioni. Non stupisce gli osservatori locali questo decimo posto, più gravoso oggi anche nelle tasche degli altoatesini: il caro-casa è a livelli record e anche il costo della vita risulta essere il più alto in Italia, nonostante i redditi medi sempre migliori rispetto al resto del Paese. «I dati dal Rapporto BenVivere vanno inseriti peraltro in un quadro territoriale di ottimo livello dal punto di vista economico, dove vediamo però emergere le fatiche di mantenere tali standard di vita da parte di persone che non hanno alle spalle reti familiari di sostegno», è l’analisi di Liliana Di Fede, direttrice generale dell’Azienda Servizi Sociali di Bolzano (Assb), che individua il «problema più grande» nel costo degli affitti che schizzano così in alto da essere «spesso non più sostenibili per le giovani famiglie o per i pensionati».

Vale tanto più per gli universitari. Pochi giorni fa, all’inaugurazione di Ingegneria al Noi Techpark di Bolzano, si parlava di 500 euro per stanza. «Mi ha colpito che lo stesso direttore dell’ateneo Günther Math abbia denunciato il fatto che molti studenti e dottorandi, anche stranieri, rinunciano a studiare qui perché non trovano casa – osserva la giornalista free lance Simonetta Nardin, rientrata a Salorno dagli Usa in servizio al Fondo Monetario Internazionale – è un paradosso che l’Università sia attrattiva ma abbia lunghe liste d’attesa negli studentati. Così si costringono i neolaureati a rimanere all’estero, impoverendo il nostro territorio».
È soprattutto “dentro” le famiglie che peggiorano i dati Istat riferiti al 2022: tasso di natalità e di nuzialità, numero di figli. Come si spiega nella Provincia autonoma che “regala” con un assegno 200 euro al mese per ogni figlio fino a 3 anni di età senza differenze di reddito? «Il calo delle nascite anche qui è un fenomeno strutturale perché abbiamo sempre meno donne in età fertile e queste donne fanno anche meno figli» – premette Christa Ladurner, presidente dell’Alleanza per la Famiglia di Bolzano e dirigente provinciale al Forum prevenzione. Sottolinea anche lei l’accresciuto problema abitativo, viste le tante richieste da fuori provincia, ma non più a portata di giovani coppie. Dopo l’aumento dell’età pensionabile – lo riconoscono altri esperti del settore – vengono spesso a mancare i sistemi intrafamiliari, i nonni che accudiscono i nipoti. «Non sono i soldi che spingono a fare più figli in una giovane coppia», osserva Ladurner ritenendo decisivi proprio i fattori abitativi e lavorativi. Come va con la formula partita nel 1990 delle “Tagesmutter”, le signore che accudiscono i figli di altri nella loro casa. «Ne abbiamo ancora un buon numero, ben formate, ma non tutte sono operative – precisa Ladurner – il loro servizio non è costante nel tempo, perché spesso smettono quando cambia la loro condizione di vita». Le associazioni dell’Alleanza per la Famiglia chiedono più sostegni: soltanto il 30% delle richieste di servizi alla prima infanzia viene soddisfatto dai servizi pubblici. «Si tratta di rimontare uno storico ritardo – riconosce Liliana Di Fede, direttrice Assb – ma questi dati ci invitano a implementare ulteriormente i servizi alla prima infanzia con forti investimenti nei servizi di conciliazione, soprattutto a favore delle famiglie più giovani».

Se nel settore pubblico le mamme sono più tutelate, nel privato una donna su quattro in Alto Adige si trova a lasciare il lavoro dopo il primo figlio. «Il dato va letto con prudenza perché non sempre sono dimissione necessariamente forzate – avvisa la segreteria generale Cgil Cristina Masera – in Alto Adige non è difficile trovare lavoro e quindi talvolta ci si può “permettere” di licenziarsi nella fiducia di potersi reimmettere facilmente nel mercato del lavoro dopo che il bambino è cresciuto». Masera ricorda poi che fortunatamente in Alto Adige l’occupazione femminile presenta livelli più alti che nel resto del Paese quindi è anche più alta la domanda dei servizi all’infanzia. La sindacalista invita piuttosto a tenere alta la guardia rispetto «ad una generale diffidenza nei confronti dei lavoratori immigrati, dei quali le nostre industrie e i nostri alberghi hanno molto bisogno: rischia di “pesare” non solo sulla loro condizione abitativa ma anche sulla convivenza».

L’ ultimo segnale d’allarme del Rapporto 2024 viene dall’ambiente. «Non c’è dubbio che veicoli e polveri sottili siano eccessivi anche per una provincia come la nostra – commenta Helmuth Moroder, esperto di mobilità e consulente di Provincia e comuni altoatesini – però rispetto alle polveri siamo nella media nazionale e la concentrazione è fortemente condizionata dall’asse autostradale Bolzano-Bressanone, con traffico sempre intenso». E l’alto tasso di motorizzazione? «È reale purtroppo anche nei Comuni periferici – osserva Moroder – ma c’è l’anomalia che molte società di noleggio vengono a immatricolare i loro veicoli a Bolzano perché la tassazione risulta particolarmente vantaggiosa».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI