Fabbrica Italia non c’è più. Sepolta. Lo scenario è cambiato e Fiat cambia il suo disegno del futuro, mettendo in discussione i 20 miliardi d’investimento promessi per il rilancio degli stabilimenti italiani. Non è l’ennesimo allarme dei sindacati. A scriverlo, nero su bianco, ovviamente in "politichese", è lo stesso Lingotto in una nota con cui risponde ai timori espressi nelle ultime settimane da esponenti del mondo politico e appunto sindacale: «Da quando Fabbrica Italia è stata annunciata nell’aprile 2010 – spiega il Lingotto – le cose sono profondamente cambiate. Il mercato dell’auto in Europa è entrato in una grave crisi e quello italiano è crollato ai livelli degli anni settanta. È quindi impossibile fare riferimento a un progetto nato due anni e mezzo fa. È necessario infatti che il piano prodotti e i relativi investimenti siano oggetto di costante revisione per adeguarli all’andamento dei mercati». Dimenticate le battaglie sui contratti, i referendum e tutto il resto. Dimenticate Pomigliano e l’«Italia che piace» dello spot della Nuova Panda. La chiusura di Termini Imerese potrebbe non bastare. Si ricomincia. Si ricomincia dai segnali di fine estate con la cassa integrazione in quasi tutti gli impianti. Dagli allarmi a questo punto più che giustificati dei sindacati: «Vogliono chiudere». Sì, a questo punto, un annuncio choc sulla chiusura di impianti storici come Mirafiori o Cassino potrebbe non sorprendere più. Gli ultimi numeri del mercato in Italia e in Europa sono per Fiat pesanti: una scia negativa a doppia cifra impressionante. L’Ad Marchionne era stato netto: «Non ho mai visto numeri così». Fiat allora mette le mani avanti e ricorda che il 27 ottobre 2011 aveva annunciato in un comunicato che non avrebbe più utilizzato la dizione "Fabbrica Italia" perché «molti l’avevano interpretata come un impegno assoluto dell’azienda mentre invece si trattava di una iniziativa del tutto autonoma che non prevedeva tra l’altro alcun incentivo pubblico». Come dire: lo avevamo già detto, perché vi sorprendete? L’azienda ricorda di avere ribadito ai sindacati nell’incontro del primo agosto a Torino che «la delicatezza di questo periodo, di cui è impossibile prevedere l’evoluzione, impone a tutti la massima cautela nella programmazione degli investimenti». E fissa una data: «Informazioni sul piano prodotti e stabilimenti saranno comunicate in occasione della presentazione dei risultati del terzo trimestre 2012». Il 30 ottobre. Un mese col fiato sospeso per capire cosa succederà. L’aspetto paradossale è che – come ha anticipato da John Elkann, presidente della Fiat e della Exor, in una intervista a
Panorama – la Fiat chiuderà il 2012 con risultati migliori rispetto al 2011, sebbene «il mercato italiano sia tornato ai livelli di 40 anni fa». Tutto merito dell’America. «È meglio fare parte di un gruppo che c’è e fa profitti piuttosto che di un gruppo che non c’è più. Perché questo abbiamo rischiato negli anni scorsi: io c’ero e l’ho vissuto. Oggi invece la Fiat Chrysler è una realtà solida che guadagna non solo negli Usa ma anche in Brasile e in Asia. E in Italia ha trasformato Pomigliano in uno dei migliori impianti europei». Concetti che il Lingotto ribadisce anche nella nota di ieri. «Vale la pena di sottolineare – conclude il testo – che la Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia, pensando in primo luogo a crescere e a diventare più competitiva. La Fiat ha scelto di gestire questa libertà in modo responsabile e continuerà a farlo per non compromettere il proprio futuro, senza dimenticare l’importanza dell’Italia e dell’Europa». Quali saranno queste scelte «responsabili»? Bisognerà aspettare la fine di ottobre. Intanto gli stabilimenti italiani che producono auto Fiat funzionano a circa il 50% della capacità produttiva. Mirafiori è quasi fermo e i lavori per il rifacimento delle linee produttive per la realizzazione del Suv con marchio Alfa Romeo, che dovrebbe partire a fine 2013, sono sospese. Nelle scorse settimane sono tornati i timori di un annuncio di chiusura di stabilimenti in Italia. Annunci che oggi appaiono più che fondati. E fanno davvero paura. L’«Italia che piace» è solo uno spot.