
Alcide De Gasperi
Questo intervento di Maria Romana De Gasperi, figlia dello statista Alcide, fa parte della raccolta scelta delle sue rubriche apparse su Avvenire per oltre vent'anni e riunite nel volume Mio padre, Alcide, pubblicato nella collana Pagine Prime di Avvenire e Vita e Pensiero.
Sella di Valsugana, 1943. De Gasperi vi aveva trascorso qualche giorno di riposo fuori stagione per riprendersi da un esaurimento che gli avevano causato il troppo lavoro, la sua sensibilità colpita dalla politica condotta dal fascismo e il suo essere cosciente di non poter fare nulla per arginare gli errori.
Una cartolina postale inviata alle sue bambine il giorno prima del ritorno a casa dice: «Ultimo saluto da qui. Dunque addio monti dirupanti sulla valle, come se la volessero cingere d’assedio; addio nudi boschi di castagni che spogli e secchi paiono di lontano culture di stuzzicadenti; addio vigneti che si direbbero seminagioni di pali, graticole cinte da muri entro i quali, come segno di spezzettamento della proprietà, si vedono centinaia di casottini che da quaggiù paiono tabernacoli di una Via Crucis che sale verso l'altipiano: e sono in verità la Via Crucis di codesti poveri contadinelli che salgono i serpeggiando con la gerla pesante».
«Addio pettirossi e cinciallegre che sul rami secchi aspettate l'ombra delle fronde per ricovero o per fare il nido; addio grilletti filosofi; addio trote del Brenta che, scendendo per lo specchio argentato del canale, siete insidiate e prese da bande di monelli che si gettano in acqua seminudi».
«Oggi ancora soffia gelato il vento, ma quando torneranno le mie bambine, le montagne rivestiranno il manto verde, i vigneti distenderanno i festoni dei loro pampini, i filosofi grilli saranno protetti dell'erba folta, gli uccellini dalle fronde spesse, allora andremo lassù assieme, dove non ci sono ambulatori, né ospedali, dove nessuno muore. Abbracci, papà».
E l'unico a morire a Sella fu proprio lui. Ma quanto lontana questa poesia dalla nostra realtà. La burocrazia si è sostituita al buon senso: per tagliare il proprio bosco ci vogliono infiniti permessi e carte, i prati non vengono sfalciati perché non sono in piano, i pascoli non servono più perché gli armenti vengono serviti direttamente nelle stalle e i “casottini” sono scomparsi mangiati dai boschi.
Resta il fascino dei grandi silenzi, il volo degli uccelli e il timido passo dei caprioli che in questa stagione fuggono il cacciatore. E mentre noi saremo portati ad una malinconia di ricordi, mio padre invece aveva sempre presente, con la realtà del suo tempo, il futuro. Mai lo abbiamo sentito disperare per ciò che il suo mondo mano a mano perdeva, al contrario egli aveva una grande speranza per il domani.
La sua vita fu quasi sempre divisa in eguale misura da una visione poetica delle cose e l'accettare o il governare, quando ne fu il tempo, con forza la realtà quotidiana: un equilibrio tra l'ispirazione e la tensione al bello e al buono e la lotta costante è dura con chi voleva distruggere il nostro paese invece di edificarlo.
Soprattutto era la sua fiducia instancabile che niente va mai perduto, che le cose e i tempi cambiano, non distruggono, che il futuro è nella mente di Dio, ma anche nelle mani dell’uomo.
Oggi che il nostro Orizzonte si è immensamente allargato e che i problemi di chi abita un piccolo centro vanno sempre più assomigliandosi a quelli di chi vive a New York o a Tokyo, dobbiamo essere pronti ad affrontare insieme il futuro anche senza togliere al nostro spirito il respiro di una poesia.