È l’ultimo atto verso la beatificazione del Pontefice bresciano la firma con la quale papa Francesco ha sancito ieri il riconoscimento del miracolo riguardante il caso di un feto, avvenuto nel 2001 per intercessione di Paolo VI. Con la sua firma Francesco ha disposto la promulgazione del decreto, ma non è ora possibile divulgare l’identità del bambino statunitense miracolato, oggi adolescente, poiché la famiglia ha richiesto ufficialmente l’assoluto rispetto della privacy. Certo è che Giovanni Battista Montini, a motivo di questo caso straordinario, che appare in sintonia con la sua enciclica
Humanae vitae del 1968, sarà proclamato beato a trentasei anni dalla morte e la sua beatificazione coinciderà proprio con la conclusione del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia. Una beatificazione che si compie a cinquant’anni dal suo storico abbraccio con Atenagora e dalla pubblicazione della prima grande enciclica programmatica
Ecclesiam suam. La causa di Paolo VI è durata in tutto un ventennio. Iniziata il 26 aprile 1993, si è conclusa nel pontificato di Ratzinger, il 20 dicembre 2012, con la promulgazione del decreto sulle virtù eroiche. Il percorso non è stato proprio scorrevole. Il primo a muovere i passi per la sua introduzione fu il segretario di Stato Agostino Casaroli. Già a due anni dalla morte di Paolo VI, il 25 gennaio 1980, Casaroli aveva fatto pervenire all’allora vescovo di Brescia, Luigi Morstabilini, una lettera nella quale autorizzava la raccolta in forma riservata di dichiarazioni testimoniali scritte nell’eventualità di chiedere il nulla osta per l’avvio della causa. Vennero raccolte tredici testimonianze, poi rilegate in un volume dal titolo
Un cristiano esemplare, degno di essere ricordato come modello di vita e come intercessore del cielo. I passi decisivi vennero compiuti, come da normativa, trascorsi i cinque dalla morte di Paolo VI. Il successore di Morstabilini a Brescia si costituì allora attore della causa e interpellò la Conferenza episcopale lombarda che nel 1989 diede il suo pieno assenso. Postulatore della causa fu scelto il gesuita Paolo Molinari, postulatore generale della Compagnia di Gesù. Dato però che per le cause relative ai Pontefici l’autorità diocesana competente a istruire l’inchiesta è il Vicariato della diocesi di Roma, il postulatore presentò istanza al cardinale Camillo Ruini il quale, a sua volta, richiese il parere della Cei. Il consenso arrivò nel 1992. Venne quindi emanato l’editto con cui veniva portata a conoscenza dei fedeli l’iniziativa dell’avvio dell’inchiesta «perché chi avesse delle riserve da fare in merito alla fama di santità del Servo di Dio si sentisse obbligato a darne notizia». L’editto venne affisso alle porte del Vicariato di Roma, nelle curie di Brescia e di Milano e pubblicato sulla
Rivista Diocesana di Roma e su
L’Osservatore Romano e
Avvenire.Significativamente a spingere per l’apertura della causa, la Cei si trovò in compagnia dell’episcopato argentino. Nell’ottobre 1992 il cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza episcopale argentina, a nome dei partecipanti della IV Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano riunito a Santo Domingo, sollecitò con una lettera Giovanni Paolo II ricordando in particolare quanto «i vescovi argentini» avessero «profonda venerazione» per Paolo VI. Così agli inizi del 1993 arrivò il nulla osta dalla Congregazione delle cause dei santi e finalmente il decreto di apertura dell’inchiesta. L’interrogatorio dei testi iniziò nel giugno 1993. Si tennero 82 sessioni in cui vennero sentiti 63 testimoni. Tra il 1993 e il 1995 si svolsero anche le rogatorie a Milano e a Brescia, dove lasciarono la loro deposizione 129 testi. In totale 192 testimoni più le dichiarazioni dei 13 precedentemente raccolte. Il 18 marzo 1999 Ruini poté celebrare solennemente la sessione conclusiva dell’inchiesta diocesana nel Palazzo Lateranense. Ma nonostante la raccolta degli scritti e dei documenti fosse stata facilitata in modo notevole da numerose pubblicazioni scientifiche e ricerche già compiute dall’Istituto Paolo VI di Brescia, la validità giuridica degli atti dell’inchiesta diocesana dovette attendere ben sette anni.La fase romana del processo presso la Congregazione si dimostrò impegnativa e complessa per l’elaborazione della
Positio, il dossier che deve dimostrare definitivamente l’eroicità della vita e delle virtù. Al postulatore Molinari, nel frattempo dimessosi, subentrò il redentorista Antonio Marrazzo. E il nutrito team di studiosi, guidati dal relatore della causa monsignor Guido Mazzotta, si trovò alle prese con le «Osservazioni complementari»: le obiezioni avanzate da testimoni o relative a momenti problematici della vita del Servo di Dio. Queste Osservazioni, o
Questiones selectae, erano state compendiate in 11 punti tra i quali: l’atteggiamento avuto dal Servo di Dio nello sviluppo della riforma liturgica e i rapporti intercorsi con monsignor Annibale Bugnini, quello in riferimento all’
Humanae vitae, alla posizione assunta riguardo alla sua nomina ad arcivescovo di Milano e al referendum sul divorzio, al Catechismo olandese, alla collegialità dei vescovi e anche in merito ai suoi rapporti con la Spagna. Solo dopo aver sviscerato tali questioni, si è arrivati all’elaborazione finale della
Positio, su cui si sono poi espressi i teologi, i cardinali e infine il Papa.