
Le tre Marie alla tomba (particolare), opera del pittore francese William-Adolphe Bouguereau del 1876 - Web
Videtur quod –sembra che, è l’inizio della quaestio nella Summa Theologiae di san Tommaso: si comincia con una serie di obiezioni o argomenti contrari alla tesi da commentare teologicamente. Per approfondire – ed eccitare – il dibattito sulla proposta di “teologia rapida” di padre Antonio Spadaro, metto volentieri a fuoco alcune possibili obiezioni critiche, in parte già latenti negli articoli di chi è intervenuto sulle pagine di Avvenire, avvertendo sui “rischi” della superficialità e dell’effimero e, dunque, della mancanza di profondità riflessiva.
La rapidità nella risposta potrebbe compromettere la qualità e la complessità delle analisi teologiche, garantite invece dalla teologia scientifica che procede per metodo con uno studio approfondito e lento. Rispondere rapidamente sembrerebbe indurre a errori o a interpretazioni affrettate, mettendo a rischio la precisione teologica e la coerenza dottrinale. La “fatica del concetto” (Hegel) è propria di una teologia che sa trascendere le pressioni del tempo contemporaneo, fornendo risposte “alla prova del tempo”. Una teologia rapida sembrerebbe allora troppo contingente e non duratura, portando a risposte inadeguate o incomplete, senza un’attenta considerazione del contesto storico, culturale e scritturale. La teologia rapida sembrerebbe allora reattiva piuttosto che proattiva, rispondendo solo alle domande emergenti, senza anticipare o guidare riflessioni future.
Padre Spadaro è sicuramente in grado di istruire tutti sui Sed contra con i doverosi Respondeo ad primum, ad secundum, etc., ma credo si sia preventivamente immunizzato da critiche del genere con la spiegazione del significato dell’aggettivo “rapida” per qualificare questa teologia di cui necessitiamo oggi, hic et nunc (espressione latina che indica l’impossibilità di ritardare l’attuazione). Così è scritto: «“Rapidus” è invece non ciò che corre, ma ciò che rapisce, trascina, travolge. Ed è pure capace di coinvolgere atteggiamenti, stili di vita, comprensioni della realtà, della politica». Da qui, l’incoraggiamento ad avere il coraggio di affrontare le paure e di adattarsi alle nuove realtà, attraversando il “mare” delle sfide contemporanee, specialmente quelle dei nuovi linguaggi. La teologia a venire dovrà cercare e trovare nuovi modi di esprimere la fede, utilizzando strumenti moderni per comunicare in modo efficace. Sarà viva e aperta, senza essere intrappolata in gabbie culturali che impediscono di intercettare nuove domande e bisogni, dialogando con le conquiste della scienza (si pensi agli sviluppi della meccanica quantistica) e le nuove visioni del mondo, evitando sia il concordismo che lo spirito apologetico.
I dispositivi tecnologici hanno cambiato il modo di pensare e anche l’esercizio critico della ragione. Molto più di un tempo, tutto è sospettato e messo in discussione, criticato e gettato via per un nonnulla. Un’ora di catechismo, qualora fosse fatta bene, serve a poco nella comunicazione della fede. I suoi contenuti vengono spazzati via da un minuto di televisione o da trenta secondi di tablet. Si tratta allora di trasformare il modo di porgere e di comunicare, investendo di più nel ragionamento convincente (il logos di sempre), sapendo però che la via migliore non è solo quella “concettuale” del pensiero cogitante, ma anche quella dell’emozione e dell’intuizione e del simbolo: l’intelligenza umana è anche emotiva, potentemente simbolica e creativamente immaginativa.
Così la proposta di una teologia rapida è piuttosto quella di un “teologare rapido”, di un pensare rapidamente, in grado di rispondere prontamente alle domande e ai bisogni emergenti “senza lamentarsi della mancanza di tempo per riflettere o pianificare”. Si tratta allora di educare l’intuito teologico di ogni credente per una fede adulta anche perché pensata, in linea con la tradizione di un Agostino – con fides nisi cogitaturnulla est (la fede che non si pensa è nulla) – o di un Anselmo d’Aosta – con fides quaerens intellectum –, ma anche con i vescovi italiani che si inventarono anni orsono il Progetto culturale della Chiesa italiana, per avviare un processo di formazione teologica della coscienza credente di tutti, perché ciascuno fosse abilitato a un “teologare rapido” ovvero, alla «capacità di avvertire, discernere e valutare con rapidità una situazione nel suo divenire», come sostiene Spadaro riferendosi alla “memoria ecclesiale” che dovrebbe tramutare l’istinto in intuito (teologico).
Sic stantibus rebus, la sfida posta da Spadaro alla teologia accademica, con la sua necessaria lentezza, è quello di un impegno educativo ad ampio raggio che porti il ricercatore-professore di teologia a trasformarsi finalmente in un vero evangelizzatore, coltivando quella “teologia sapienziale” invocata da papa Francesco in Ad Theologiam promovendam che ne esalta il “timbro pastorale”, privilegiando il sapere del senso comune della gente come “luogo teologico”: così «la teologia si pone al servizio della evangelizzazione della Chiesa e della trasmissione della fede, perché la fede diventi cultura, cioè ethos sapiente del popolo di Dio, proposta di bellezza umana e umanizzante per tutti». Nella Prefazione a Ripensare il pensiero, papa Francesco ha insistito sulla necessità di una “teologia incarnata” che corrisponda a una fede come “sapienza spirituale”: «Abbiamo bisogno di recuperare la via di una teologia incarnata, che non nasce da idee astratte concepite a tavolino, ma sgorga dai travagli della storia concreta, dalla vita dei popoli, dai simboli delle culture, dalle domande nascoste e dal grido che si leva dalla carne sofferente dei poveri. Una teologia generata da Dio, che porta annunci di liberazione al mondo; […] una teologia che da “sapere accademico” diventa “sapore del cuore”, per suscitare divine inquietudini e incoraggiare il desiderio umano ad affacciarsi ai bordi del Mistero di Dio».
La teologia sapienziale è la via maestra del “teologare rapido” proposto da Spadaro. È quanto si sta progettando con la Pop-Theology che, attraverso i “Cenacoli teologici”, è impegnata ad aiutare i credenti a un “pensiero teologico rapido”.
E a chi paventa la superficialità o il carattere effimero del tentativo, si ammetterà che è certo un “rischio”, ma sarà meglio dell’assoluta inutilità a cui si auto relega la ricerca della teologia accademica, secondo Lonergan, il teologo che ha scoperto, da scienziato, il “metodo trascendentale” e lo ha applicato alla teologia. Nel Manifesto in 10 punti della Pop-Theology, intesa come “carità intellettuale a servizio della gioia del Vangelo”, c’è infatti scritto al n. 4: la «Pop-Theology occupa lo spazio dell’ottava specializzazione funzionale del metodo trascendentale di Bernard Lonergan, la comunicazione: è lo spazio senza il quale tutto il lavoro dei teologi di professione è praticamente inutile».
C’è bisogno di osare di più. Il teologo è un esploratore: abita spesso sentieri impervi e sale talvolta su tetti insicuri. Vale però la pena correre tutti i rischi e non disertare la propria missione per pavidità, peggio per pigrizia. Osando con coraggio e senza timore – come chiede Spadaro con la sua proposta –, il teologo si assume la grande responsabilità etica di ricercare scientificamente e di traslocare in un linguaggio accessibile a tutti i guadagni veritativi delle sue esplorazioni critiche, a servizio della Verità e dell’annuncio del Vangelo. Lo faccia subito, per “carità intellettuale” (A. Rosmini).
vescovo e presidente della Pontificia Accademia di Teologia