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L’applausometro di Rimini, croce e delizia dei politici che fanno la fila per una comparsata al Meeting, impazzisce per il Cardinale che non si schiera. Matteo Zuppi ha dialogato domenica pomeriggio con Bernhard Scholz, davanti a un auditorium sold out, sapientemente riscaldato dalle citazioni affettuose di Giussani, con le quali il porporato ha dato l’impressione di un’amicizia più ancora che di un’alleanza.
Il presidente della fondazione Meeting lo ha ricambiato con un «sicuramente la ricorderemo nelle nostre preghiere» e con queste parole ha dato voce all'abbraccio del popolo ciellino, che non la smetteva più di applaudire il presidente della Cei e l’arcivescovo di Sant’Egidio. “Sicuramente” non saranno altrettanto entusiasti i partiti, che hanno ricevuto dal pastore di Bologna più istruzioni che incoraggiamenti. Come quella di non fare della politica solo «convenienza e piccolo interesse» perché tutt'altro è «l’amore politico» che preoccupa il Papa. Di fuggire personalismi e polarizzazioni, che non consentono di vedere la complessità del presente, ma di partire dal bene comune. Di tener conto delle preoccupazioni della Chiesa per l’educazione, il lavoro, la pace e la famiglia, nonché della «grande preoccupazione per il terzo settore».
Il porporato ha ribadito che questo tema «interessa tanto la Chiesa perché è il frutto di tanta passione per l'umano, interpreta tante sofferenze, tanti desideri e quindi è un interlocutore importante, decisivo per le istituzioni presenti e future». Un’altra indicazione omnibus è stata quella di rifuggire la «intossicazione da individualismo» che «genera anche nazionalismi». E naturalmente di «non abituarci all'orrore della guerra, della disumanità» perché «il male ci divide dagli altri, ci isola».
Atteso dai media per sapere chi voterà la Chiesa, il presidente dei vescovi ha parlato all’intera società italiana, ragionando sulla passione per l’uomo - tema di quest’edizione del Meeting - che lo accomuna a Giussani e al suo movimento. Questa passione si deve tradurre in uno «sforzo per l'amicizia sociale, per tessere la comunità: la lezione che le pandemie del Covid e della guerra ci hanno dato è che ci riguardano tutti» ha spiegato. Il nostro problema è che questo tempo è contrassegnato piuttosto da «passioni tristi», che ci portano ad affidarci all’algoritmo e a interpretare una visione della vita «pornografica», basata «su vitalismo e prestazione, affermazione di sè offensiva per la fragilità. Siamo la generazione che ha di più eppure vuota d’amore, con passioni tristi e nelle passioni tristi ci affidiamo a un algoritmo - ha detto -. E' una grande sfida, perché se non abbiamo una passione per l'uomo alla fine l'algoritmo è più forte. Se c'è un deserto spirituale - ha concluso - vuol dire che c'è bisogno di acqua: l'acqua della passione che dobbiamo cercare insieme». Al contrario, in questo momento, prevale un rapporto strumentale con gli altri «perciò non ci accorgiamo delle domande e delle sofferenze altrui e non capiamo che anche la nostra sofferenza trova una risposta nella condivisione con gli altri. Invece, l’individualismo ci fa restare nel nostro io».
E’ il brodo di coltura dei nazionalismi, dal momento che, ha sottolineato, «le paure nascono da un io isolato e l’individualismo che sembrerebbe affermare noi stessi in realtà ci rende deboli e rende l’altro un concorrente, un avversario che non capisco, di cui non capisco la domanda. L’indivisualismo diventa poi nazionalismo, un grande io che diventa tanti iuo isolati, mentre è solo scoprendo l’altro che scompare la paura».
Aprire il cuore e la mente all'altro, arrivando all'aiuto dell’altro è la declinazione evangelica dell’impegno di Sant’Egidio così come della pedagogia di don Giussani ed evita il precipitare nella guerra, giacché, come scrive Papa Francesco nella “Fratelli tutti”, ha ricordato Zuppi, «il salva te stesso che è frutto della paura diventa tutti contro tutti».
La condizione antropologica dell’uomo digitale, peraltro, non aiuta, ha spiegato, e l’alternativa è proprio nell’interpretare la passione per l’uomo che emerge dall’impegno di movimenti come CL. «Diffidiamo di un cristianesimo idealizzato - ha detto - servono testimoni credibili, anziani che sognano e che fanno sognare i giovani». Però bisogna aver chiaro che questa passione è per l’uomo così com’è: «Don Primo Mazzolari - ha ricordato Zuppi -diceva che non si ama il povero come lo si vuole ma con tutti i problemi e le contraddizioni che può avere».