
Per molti bambini guardare il cellulare è il gioco principale, ma ci sono rischi da non sottovalutare
Non è mai abbastanza tardi per avere uno smartphone. L'utilizzo in giovanissima età dei dispositivi digitali, con il loro pesante corredo di app dei social media, e il rendimento scolastico sono strettamente collegati. E inversamente proporzonali. Passare ore davanti allo schermo per giocare, guardare video e mandare messaggini ha effetti devastanti sulla concentrazione e sul sonno dei nostri ragazzi. Che di conseguenza fanno fatica quando devono fare i compiti in classe o prepararsi per un'interrogazione. Ad indagare un fenomeno che sta generando una nuova forma di disuguaglianza definita “da iperconnessione”, legata a doppio filo al contesto familiare e culturale, è l’università degli studi di Milano Bicocca che ha avviato una ricerca pioneristica dal titolo Eyes Up (acronimo di Early Exposure to screens ad Unequal Performance) in collaborazione con l’università di Brescia, l’associazione Sloworking, il centro studi Socialis grazie al finanziamento di Fondazione Cariplo.
L’indagine è stata presentata presso la sede dell’ateneo. Per la prima volta traccia evidenze statistiche sugli effetti dell’esposizione precoce ai dispositivi digitali utilizzando dati longitudinali, basati su interviste e sui risultati scolastici, raccolti su 6609 studenti delle classi seconda e terza delle secondarie di secondo grado in Lombardia. I risultati sono straordinariamente chiari. I ragazzi che utilizzano i social, aprendo un profilo su Instagram o TikTok prima dei 12 anni (quando il limite di legge è 14) hanno risultati peggiori nei test Invalsi in particolare sulle competenze linguistiche, di comprensione del testo, e matematiche. L’impatto negativo è trasversale, riguarda ragazze e ragazzi, ma è più forte tra questi ultimi.
A parlare in prima persona i ragazzi protagonisti della ricerca. Un mini-documentario in cui sono raccolte le loro percezioni ed emozioni legate all’uso quotidiano della tecnologia, ma anche interviste ad alcuni insegnanti, ricercatori e genitori. Uno spaccato in cui gli adolescenti raccontano con franchezza dubbi e paure, consapevoli della complessità del tema.
Come funziona la ricerca. Per l’indagine sono stati creati due gruppi di studenti equivalenti ma con una diversa età di accesso ai social media e sono stati monitorati i loro risultati scolastici nel tempo (dalle elementari in poi sempre in base ai test Invalsi). Grazie ad una tecnica statistica nota come “Did” (Differenza nelle differenze) si è potuto distinguere tra semplici associazioni, senza un rapporto di causa ed effetto, tra competenze e età di ingresso nel mondo dei social media e effetti reali misurati su base scientifica. La ricerca ha inoltre esplorato le variabili come l’istruzione dei genitori, il genere e il background migratorio.
La disuguaglianza da iperconnessione. Uno degli aspetti più interessanti riguarda la distribuzione sociale dell’uso precoce dei dispostivi digitali. Se una volta era la televisione ad essere una "cattiva maestra", adesso sono internet e i social media a fare da baby sitter ed intrattenitori dei ragazzi durante tutto l’arco della giornata. L’iperconnessione è un problema che riguarda soprattutto i figli di famiglie migranti o con basso livello di istruzione. Genitori che probabilmente hanno meno tempo libero e meno strumenti per indirizzare i figli ad un utilizzo consapevole rispetto alle famiglie più istruite che, solo per fare un esempio, utilizzano nel 54% il parental control sui dispositivi dei figli. Mentre il digital divide tradizionale si sta riducendo, ed è senz'altro un elemento positivo, avanza un nuovo gap ben più pericoloso. “Siamo di fronte ad un meccanismo che amplifica le disuguaglianze educative” commenta Giovanni Abbiati, docente di Sociologia dei Processi economici all’università di Brescia.
Differenze di genere nell'utilizzo del cellulare. La ricerca ha quantificato l’utilizzo dello smartphone da parte dei ragazzi: uno su due lo utilizza spesso o sempre appena sveglio e ammette di portarlo anche a tavola. Il 22% lo consulta anche durante la notte, interrompendo il sonno. Quotidiano il ricorso ad internet per cercare informazioni (94%), l'ascolto di musica e la visione di filmati sulle varie piattaforme (98%). Emerge però una significativa differenza di genere. Le ragazze che usano di più i social network per condividere contenuti e interagire con i coetanei e sono molto coinvolte emotivamente in queste attività. Si tratta di un comportamento che ha effetti sulla percezione del corpo e sul benessere emotivo. I ragazzi invece usano il cellulare per i videogiochi o la fruizione in streaming di contenuti di lunga durata e hanno maggiori difficoltà di concentrazione nello studio. Differenze che suggeriscono la necessità di interventi educativi e strategie di regolamentazione che tengano conto anche del genere. Lo studio non si ferma qui ma proseguirà. “Dobbiamo lavorare per capire come favorire un uso più consapevole delle tecnologie digitali, attraverso nuove norme sociali, strumenti educativi efficaci e policy mirate” assicura Marco Gui, docente di Sociologia dei Processi culturali e comunicativi e coordinatore di Eyes Up.