Che danno ha provocato il terremoto del 24 agosto alle chiese del Centro Italia?Non esiste ancora un censimento ufficiale, ma, in base alle segnalazioni provenienti dalle diocesi di Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo - risponde don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana - oltre milleduecento edifici religiosi sono lesionati, pericolanti o crollati. Si tratta di un danno composito e che minaccia non soltanto il valore storico e artistico di questo patrimonio, ma anche la vita religiosa delle comunità: in molti paesi non si sa più dove celebrare l’Eucaristia. Purtroppo, non avremo un quadro preciso finché non si interromperanno le scosse telluriche. Dunque esiste anche un’emergenza religiosa?Dopo quella abitativa e scolastica, vi è l’esigenza di restituire alle popolazioni colpite dal terremoto delle strutture sicure, polifunzionali, in cui celebrare il culto e far ripartire l’attività pastorale, se davvero si vuole evitare uno spopolamento delle aree colpite dal sisma. Le Conferenze episcopali di quelle regioni ci stanno lavorando: l’obiettivo è ripristinare le condizioni di vita normali, riportando le lancette dei nostri orologi prima di quella tragica notte e lo si fa anche ricollocando una statua della Madonna sotto una tensostruttura.Oltre agli immobili lesionati ci sono opere d’arte da salvare dalle macerie. Cosa si sta facendo?Si lavora sodo e ci si sta organizzando per individuare un ricovero sicuro e locale. Insisto su entrambi questi requisiti: non basta che le testimonianze storiche della fede siano collocate in un luogo protetto, è necessario che questo sito si trovi nelle terre dove quelle statue, quei dipinti, quegli arredi sono sempre stati, perché sono un patrimonio religioso, culturale e identitario di quelle popolazioni. Inoltre, questi beni dovranno essere facilmente accessibili dalle diocesi, perchè in molti casi non si tratta solo di testimonianze artistiche, ma di strumenti pastorali: penso agli archivi parrocchiali, che devono essere conservati in siti accessibili dai parroci, visto che si continua a nascere, battezzarsi, sposarsi, ricevere i sacramenti. Giovedì i vescovi delle diocesi colpite hanno incontrato il commissario Errani: si è capito quale ruolo avrà la Chiesa nella ricostruzione degli edifici religiosi?Si pensa che verrà seguito il modello emiliano e che sarà difficile che le diocesi e le parrocchie appaltino i lavori. La nostra richiesta è che sia garantito alla proprietà il diritto di rappresentare, nell’ambito dei lavori di ricostruzione, le esigenze funzionali dell’edificio, che la legge non considera: in altre parole, non vogliamo sostituire l’ingegnere strutturista nel decidere quali interventi vadano effettuati per migliorare la risposta di una chiesa ad un terremoto, ma vogliamo che i tecnici tengano nel dovuto conto l’utilizzo liturgico e pastorale di quegli edifici. Anche su questo punto, il Ministero dei beni culturali sta dialogando efficacemente.Ritiene che si debba ricostruire tutto com’era e dov’era?Dopo le opere provvisionali e le verifiche di agibilità, cioè quando il quadro sarà completo, si porrà il problema delle risorse e delle priorità, che dovranno essere concordate con le diocesi, ma è evidente che se si vogliono mantenere le popolazioni sull’Appennino non si possa radere al suolo la loro storia di fede. Così come è necessario offrire loro delle alternative valide in caso di inagibilità. La ricostruzione durerà anni, nel frattempo le popolazioni debbono continuare a vivere e ciò significa anche avere una chiesa, un oratorio, un campanile.