giovedì 2 gennaio 2025
Il deputato Luigi Marattin

Il deputato Luigi Marattin

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Luigi Marattin, ma vede davvero un orizzonte in Italia, in questo 2025, per il suo movimento Orizzonti Liberali?

C’è sempre un pezzo di Paese che non si sente rappresentato politicamente – dice il deputato ex Italia viva, economista, ora a capo di questa formazione - da nessuno dei due poli, che sono guidati politicamente da estremismi: il landinismo a sinistra e il sovranismo di Meloni e Salvini a destra. E a nulla serve inventarsi “centri” che però stanno già pregiudizialmente a destra o sinistra: perché non c’è un’Italia disposta a mandare Landini a fare magari il ministro del Lavoro o Salvini a fare il ministro dell’Interno solo se glielo chiede uno vestito meglio e che si autodefinisce “centro”.

Sì, cresce l’offerta di quanti non si riconoscono in questo bipolarismo populista, ma che senso ha se non si è capaci di costruire una “terza via” unitaria?

Altri tentativi sono falliti perché si è messo il “chi” davanti al “cosa”. Il narcisismo e l’egocentrismo dei pochi sono stati messi davanti al progetto e all’idea di Paese, che è quella su cui andrebbero fondati invece i partiti. Ecco perché stavolta faremo esattamente il contrario: stiamo costruendo un’identità politica basata su un’idea di Italia e sul radicamento territoriale. Perché un progetto politico non è tale se mancano idea di società, classe dirigente diffusa e organizzazione. Anche se manca la leadership, c e rto: che però per noi sarà l’ultima tappa, non la prima. Mentre tutti si affannano a partire da presunti “federatori”, noi partiamo da che idea di Italia abbiamo.

Quali saranno le vostre prossime tappe?

A fine novembre a Milano abbiamo tenuto una costituente di due giorni con 2mila persone. Non solo come Orizzonti Liberali, ma anche con tante altre associazioni - come Libdem e Nos - e attori politici che hanno lo stesso nostro obiettivo. Nel corso del 2025 diventeremo partito con un congresso fondativo.

Insiste spesso sulla bassa crescita e produttività dell’Italia. Lo dicono anche i dati, ma come se ne esce?

La spesa pubblica italiana è fuori controllo, alimenta sprechi e clientele: serve uno sforzo pluriennale per risparmiare due punti di Pil e destinarli integralmente a ridurre le tasse su chi produce e lavora. Serve poi una terapia-choc su concorrenza e liberalizzazioni, per liberare le energie represse dell’economia italiana. E infine un nuovo patto sociale, come quello del 1993: quello fu sull’inflazione, qui ne serve uno sulla produttività, motore della crescita.

Il Pnrr ha ancora chances o è un’occasione sprecata?

È arrivato il momento di dire che il re è nudo. Il Pnrr non nacque, come avrebbe dovuto, come “lubrificante” per aggredire i nodi di una produttività che smise di crescere a inizio anni Settanta. Ma è nato in realtà tirando fuori dai cassetti i vecchi progetti e spostandone alcuni che si sarebbero finanziati coi fondi strutturali. E in più aggiungendo la tendenza italiana più grave, quella di spartirsi le risorse pubbliche senza un progetto, ma solo come remunerazione di gruppi costituiti.

Quali altri difetti primari vede nell’economia italiana?

Tutti i difetti si spiegano con un solo dato, di cui parlo molto nel libro “La Missione Possibile” (Rubbettino): dall’inizio della globalizzazione, siamo stati il Paese che è cresciuto di meno al mondo. Tutti i nostri guai vengono da qui, dalla produttività che si è fermata perché il Paese non ha saputo adattarsi al mondo che cambiava.

Perché indica nell’argentino Javier Milei, al di là dei suoi aspetti pittoreschi, un “punto di riferimento”?

Perché ha avuto il coraggio di chiedere – e di ottenerlo il consenso promettendo tagli di spesa pubblica e liberalizzazioni. E poi lo sta facendo. Sono due cose che servirebbero anche in Italia, qui da noi necessità una rivoluzione concorrenziale in tutti i mercati. Come serve un massiccio investimento negli asili-nido aziendali.

Una proposta liberal/moderata su quali altri perni deve poggiare?

Sull’idea che lo Stato deve fare poche cose, ma in maniera eccellente. E deve mettere la persona in condizione di realizzare il proprio potenziale e di cercare la felicità. Per questo ci appelliamo anche ai cattolici liberali, che sanno bene che la dottrina sociale della Chiesa non si sposa né con il conservatorismo, né con il populismo sindacal-grillino.

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