domenica 15 settembre 2024
La presidente del Movimento politico per l'unità, legato all'esperienza dei Focolari: «Chiara Lubich ci insegnò che anche la politica si può vivere in unità. Grati ai vescovi per il tema di Trieste»
Argia Albanese con i leader dei movimenti che a Trieste hanno sottoscritto il documento per la pace, i vescovi Trevisi e Renna e il direttore di Avvenire Girardo

Argia Albanese con i leader dei movimenti che a Trieste hanno sottoscritto il documento per la pace, i vescovi Trevisi e Renna e il direttore di Avvenire Girardo

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«Non saremo mai grati abbastanza ai vescovi e alla Chiesa per aver messo a tema della Settimana sociale la democrazia ». Per Argia Albanese, Presidente nazionale del Movimento politico per l'unità, la politica è una vera e propria vocazione. Segnata da un anno fondamentale, il 1996, in cui fu eletta deputata per l’Ulivo, nella sua Napoli, ma è anche l’anno in cui Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, lanciò il movimento politico che oggi lei guida in Italia: «Era a Pompei per la nomina a cittadina onoraria – ricorda – e si vide attorniata da tanti di noi politici o amministratori, impegnati nelle istituzioni in schieramenti diversi ma accomunati dalla stessa esperienza di fede. Lì ebbe l’idea, e la lanciò a noi, di dar vita a un luogo in cui confrontarsi in nome dei comuni valori del Vangelo. Il movimento è nato proprio a Napoli, il 2 maggio 1996. Quella giornata mi ha cambiato la vita. Ci siamo allenati a ricercare la fraternità anche in politica, a considerare le differenze non un’avversità, ma una possibilità di confronto e incontro».

Un po’ quello che è stato chiamato lo “spirito di Trieste”.

Per questo c’è da essere felici che la Chiesa abbia indicato un’idea diversa della politica, rispetto a quella che la descrive come una realtà che rischia di contaminare un’esperienza.

Come si articola oggi il suo movimento?

Oggi è presente in tutto il mondo. Il presidente del Mppu international è il colombiano Javier Baquero. Siamo anche in Asia, soprattutto in Corea, in Africa, dove formiamo i giovani a diventare classe dirigente. Abbiamo visto che anche in politica può essere sperimentata l’unità.

Una chiave di lettura rilanciata a Trieste.

È una prospettiva che ha toccato le corde del nostro cuore, la promozione di una democrazia dal basso, che parte dal popolo e non dalle istituzioni. Che chiama in causa ciascuno di noi e ci vede impegnati insieme come Chiesa. Quello stesso anno Chiara Lubich ricevette il premio Unesco per l'educazione alla pace. E la pace è stata al centro a Trieste di un appello che definirei storico, per la larghezza delle adesioni di movimenti e associazioni.

Perché è stato importante mettere la democrazia al centro?

Perché questo rimanda a un’idea della convivenza civile, della nostra vita stessa, come parte di una comunità in cui ci riconosciamo tutti fratelli: la solidarietà diventa coessenziale alla nostra vita.

A Trieste questo è diventato anche esperienza visibile.

È stata una profonda esperienza di vita, di comunione bella e costruttiva. Si è vista la presenza dello Spirito Santo nella comprensione di una realtà nuova in grado di trasformare la nostra vita non solo sul piano spirituale, ma anche su quello intellettuale.

Quale consapevolezza nuova si porta dietro l’esperienza di Trieste?

Si porta dietro l’esigenza di costruire ora la partecipazione nei territori, contribuendo alla vita della nostra comunità e alla crescita della coesione sociale. La politica non rischia di rovinare tutto, come si pensa solitamente, ma rende felici di partecipare, con tenacia e sacrificio, alla costruzione del bene comune.

Che cosa serve per vincere l’accusa di irrilevanza?

Serve mettere in gioco un’esemplarità di vita. Vivendo nel concreto, non solo enunciando, quel che ci siamo detti. Una politica che dia risposte a una diffusa domanda di senso che si percepisce.

La “ricetta” può valere anche contro l’astensionismo?

Questa è la parte che possiamo fare noi. C’è un’altra che debbono fare le istituzioni dandosi le riforme necessarie a favorire la partecipazione. Di qui il nostro documento che chiede di procedere insieme. Occorre affermare una diversa visione della politica, le riforme adottate sulla legge elettorale o sulla riduzione del numero dei parlamentari, o per la eliminazione di enti, hanno ottenuto l’effetto contrario, si sono rivelate scorciatoie improduttive, accrescendo la distanza dalle istituzioni.

E la legge elettorale?

Su questo è necessaria una riflessione profonda. Si tratta di un tema cruciale, che riguarda i cittadini, non solo gli “addetti ai lavori”. L’attuale legge è un “vulnus” enorme per la legittimità democratica delle istituzioni. Chi ha responsabilità politiche ad alto livello dovrebbe riflettere, e il nostro compito è favorire questo processo.

Come procedere ora?

Con alcune associazioni abbiamo approfondito la riflessione sull’impegno politico e Claudio Sardo l’ha raccolta in un volumetto, presentato a Trieste, “Sfidare il realismo”. Ci siamo interrogati su come essere incisivi. Il cardinale Zuppi ci ricorda che per non essere irrilevanti occorre essere, non solo dichiararsi, cristiani. Un passaggio importante a Trieste è stata la riunione “autoconvocata” degli ammini-stratori che ha prodotto il documento comune sulle riforme. Poi c’è il documento sulla pace. Sono tutte piste di lavoro che dovremo vivere nei nostri territori in un’ottica di solidarietà, facendoci guidare dal discernimento che lo Spirito Santo ci offrirà.

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