L’arcivescovo di Lussemburgo, Jean-Claude Hollerich, dall’8 marzo 2018 è presidente della Comece
«Votare significa prendersi la responsabilità di ribadire qual è il ruolo dell’Europa, sia per i Paesi membri sia sul piano globale. Votare significa avere a cuore il bene comune. Per questo il nostro appello ai cittadini è: andate a votare». Jean-Claude Hollerich, gesuita, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea), non nasconde i timori per il futuro della “casa comune” dei popoli europei. A lungo missionario in Giappone, sa come l’Europa è percepita nel mondo e quale ruolo può avere per il futuro del pianeta.
Perché la Comece è preoccupata per quanto potrà accadere con le prossime elezioni europee? C’è chi vuole un’Europa divisa, frammentata, litigiosa. Invece, è necessaria un’Europa forte sulla scena internazionale. Tante, troppe volte, si parla solo di risultati economici. Ma io credo che un’Europa davvero unita sia necessaria ad esempio per la promozione e la protezione dei diritti umani in tutto il mondo. L’Europa deve tornare a essere veramente capace di promuovere la pace e la giustizia sociale ed economica. Dobbiamo comprendere che i risultati elettorali avranno ricadute sulle decisioni che riguardano l’intera umanità, non solo il nostro continente.
Di recente, sul quaderno 4052 della Civiltà Cattolica, lei ha esaminato la fascinazione sovranista. Figure come lo statunitense Bannon e il russo Dugin ispirano e influenzano alcuni dei movimenti politici anti europeisti. Dove vogliono arrivare? Steve Bannon e Aleksandr Dugin sono i sacerdoti di tali populismi che evocano una falsa realtà pseudoreligiosa e pseudomistica. Una realtà che vuo- le negare l’essenza della teologia occidentale: l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Senza libertà non può esistere l’amore e la libertà è la condizione indispensabile di ogni interazione umana, e lo è anche dell’agire e della responsabilità politica. È necessario ribadirlo: senza libertà la nostra fede non esiste. Al contrario, i populismi non creano comunità libere, ma gruppi che ripetono gli stessi slogan, che generano nuove uniformità, che poi sono l’anticamera dei totalitarismi.
A voler essere pessimisti, cosa potrebbe accadere? Mentre guardiamo ai nostri problemi quotidiani, che certo non bisogna nascondere, dimentichiamo che il bene supremo della pace è un patrimonio fragile. Un’Europa debole e divisa al suo interno potrebbe riaccendere in breve tempo tensioni e conflitti. E noi abbiamo la responsabilità storica di scongiurare questo grave pericolo.
Ci sono molte questioni aperte. La Libia è una di esse, perché non fa che confermare una marcata debolezza dell’Unione sullo scenario internazionale, che poi è il riflesso delle debolezze interne. Paesi membri, come Francia e Italia, si scontrano sul futuro di Tripoli, cercando ciascuno il proprio interesse. Proprio il caso libico è la dimostrazione di come l’Ue non abbia una voce unica e proceda in modo disunito. Ma senza una visione condivisa è impossibile immaginare e costruire prospettive di pace. Ne consegue che non avendo una posizione comune, la Ue dice, in buona sostanza, di non potere fare nulla. Anche questa è una dimostrazione di come le vecchie élite siano state incapaci di risolvere problemi complessi. Gli elettori hanno il dovere di chiedere di essere ascoltati senza però lasciarsi incantare da chi vuole distruggere anziché costruire.
La disunione, tuttavia, coinvolge anche le religioni, che non a caso vengono brandite anche come strumento di battaglia politica. Neanche il cristianesimo, che è la fede maggioritaria, è immune da analoghi tentativi. Come giudica queste tendenze? Un cristianesimo autoreferenziale rischia di fare il gioco di chi vuole negare e manipolare l’interpretazione della realtà, generando dinamiche che che finirebbero per divorare lo stesso cristianesimo.
Pochi giorni fa lei era in Grecia con la delegazione Vaticana inviata dal Papa per sostenere la riapertura dei corridoi umanitari. Sull’isola di Lesbo ha incontrato la disperazione dei profughi e le angosce dei cittadini greci che provano a risollevarsi dalla crisi economica, ma si sentono umiliati dalle istituzioni europee. Non è forse questa la sintesi delle contraddizioni della Ue su cui fanno leva i populisti? Il dramma dei rifugiati e dei migranti nel Mediterraneo è una vergogna per l’Europa. Ma oggi il senso di benessere sembra scomparso e pare abbia dato vita a molteplici paure, che qualcuno cavalca richiamandosi a un’identità europea «cristiana», pur con aspirazioni politiche che si rivelano in netta contrapposizione con una prospettiva fondata sul Vangelo. I populisti raccolgono e amplificano questo disagio, ma sono privi di una visione, non dicono quale progetto politico perseguono, quale futuro vogliono costruire. Vendono illusioni e fanno leva sulle paure. Oggi in Europa le migrazioni sembrano disturbare l’ordine interno dei Paesi. L’immigrato, che al tempo del miracolo economico era ben accetto perché la sua presenza e la sua fatica assicuravano il benessere, ora è diventato uno straniero. E siccome è anche diverso culturalmente e nella religione, allora appare come una minaccia. E’ così che, disorientati e spaventati, lasciamo esplodere le emozioni negative: l’altro non è più considerato come una opportunità d’incontro, ma come colui che minaccia la nostra identità.
Non si può negare che in diverse città europee i quartieri ghetto abbiano enfatizzato le difficoltà. E vero, in molte città europee ci sono cattivi esempi: quartieri dove la popolazione autoctona non si sente più a casa. Ma questo è colpa dei migranti, o non è piuttosto causato dalla mancanza di veri progetti di integrazione? Non è forse una politica di liberismo esasperato, incentrato sull’economia e il materialismo, all’origine di queste divisioni? Per questo la Comece dice che andare a votare significa avere a cuore il bene comune.