martedì 7 maggio 2024
L'analisi di Save the Children nella IX edizione della ricerca Le Equilibriste. Il divario con l'Europa, ma anche tra Nord e Sud. Le buone pratiche demografiche di Francia, Finlandia, Germania, Cechia
Bolzano la città più “amica” delle mamme. Basilicata in coda
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Ancora un record, ma sempre col segno meno. Il 2023 ha fatto registrare un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, da tempo inchiodate sotto le 400 mila unità. Ancora un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente. Le donne insomma scelgono di non avere figli o ne hanno meno di quanti ne vorrebbero: nella popolazione femminile in età fertile, convenzionalmente definita tra i 15 ei 49 anni, il numero medio di figli per donna, infatti, è di 1,20, con un'ulteriore flessione rispetto al 2022, quando il dato era già un preoccupante 1,24.

Senza andare agli anni del boom economico (i figli di quell'epoca, difficile ma piena di speranze, nel gergo giovanile sono infatti i boomers), basta guarda al dato del 2010, quando il numero medio di figli per donna aveva raggiunto il massimo relativo registrato nell'ultimo ventennio, pari a 1,44. La contrazione della natalità accompagna l’Italia ormai da decenni. Cartina al tornasole dell'insufficienza cronica dei servizi per l'infanzia e delle politiche familiari è la riduzione delle nascite che sta contagiando pesantemente anche le famiglie straniere della popolazione: nel 2023 ben 3 mila nati in meno rispetto all’anno precedente.

Imbarazzante il confronto coi paesi d'oltralpe. L’Italia è infatti lo stato europeo con la più alta età media delle donne al momento della nascita del primo figlio (31,6 anni), segno di una serie di difficoltà che costringono molte cittadine a dover rimandare la nascita del primo (e spesso unico) figlio. Con una percentuale rilevante di primi nati da mamme over 40 (8,9%, peggio fa solo la Spagna). L’età media delle madri al parto rimane quasi invariata rispetto all’anno precedente (32,5 anni nel 2023 e 32,4 nel 2022).

L'analisi sul difficilissimo mestiere di madre in Italia è anche quest'anno offerta da Save the Children, che proprio alla vigilia della Festa della Mamma di domenica prossima, diffonde la 9° edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia”. Un bilancio ragionato e documentato sulle infinite sfide che le donne in Italia devono affrontare quando scelgono di diventare mamme. Lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’Istat per Save the Children, ovvero la classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile vivere. La Provincia Autonoma di Bolzano si riconferma il territorio in testa tra quelli "amici delle mamme", seguita da Emilia-Romagna e Toscana. Fanalino di coda invece è la Basilicata, preceduta da Campania e Sicilia.

Rinvio della maternità e bassa fecondità sono frutto di numerose concause. In Italia il mercato del lavoro sconta ancora un gap di genere fortissimo. Il tasso di occupazione femminile (15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell'Unione Europea (65,8%) di addirittura 13 punti percentuali. La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese era di 17,9 punti percentuali, quando il dato a livello Ue a 27 è di 9,4 punti percentuali. Peggio di noi, ma di poco, solo la Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Il tema del bilanciamento tra lavoro e famiglia, quindi, rimane critico per chi in famiglia svolge un lavoro di cura non retribuito.

Una spia lampeggiante del divario di genere alla voce "lavoro" è il tasso di occupazione tra donne con o senza figli, paragonato a quello degli uomini. Le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, quelle con due o più figli minori sono 57,8%. Per gli uomini della stessa età, il tasso di occupazione varia dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più. Anche per la maternità l'Italia è spaccata a metà. Al Sud per le donne l'occupazione si ferma al 48,9% se sono senza figli (mentre è al 79,8% al Nord e 74,4% al Centro) e scende al 42% in presenza di figli minori, arrivando al 40% per le donne con due o più figli minori (al nord sono il 73,2% e al centro 68,3%).

Anche i dati delle dimissioni volontarie post genitorialità confermano come la nascita di un figlio influisca sulla disparità di genere nel lavoro. A dimettersi sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Nel 2022 sono state 61.391 le convalide di dimissioni volontarie per genitori di figli in età 0-3 in tutto il territorio nazionale, in crescita del 17,1% rispetto all’anno precedente. Il 72,8% donne, il 27,2% uomini. Le cause? Intuibili: la principale è la difficoltà nel conciliare lavoro e cura del bambino, il 41,7% ha attribuito questa difficoltà alla mancanza di servizi di assistenza, il 21,9% a problematiche legate all'organizzazione del lavoro.

«In Italia si parla molto della crisi delle nascite - dice la direttrice generale di Save the Children Italia, Daniela Fatarella - ma non si dedica sufficiente attenzione alle condizioni concrete di vita delle mamme, “equilibriste” di oggi. Le madri sono ancora troppo in affanno, con regioni più o meno accoglienti per donne con figli. Occorre intervenire in modo integrato su più livelli. Oggi la nascita di un bambino è uno dei principali fattori di impoverimento». Per la direttrice di Save the Children occorre quindi «sanzionare ogni forma di discriminazione della maternità, promuovere l’applicazione piena della legge sulla parità di retribuzione. E assicurare ai nuovi nati l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia così come alle cure pediatriche. Gli esempi europei - avverte Daniela Fatarella - ci sottolineano come, affinché le riforme abbiano un effetto positivo sul benessere delle famiglie, e quindi sulla fecondità, debbano essere stabili. Le frequenti riforme e inversioni delle politiche familiari le rendono imprevedibili, poco affidabili e confuse», conclude la direttrice.

Riforme organiche e stabili, sostenute economicamente e politicamente possono infatti contrastare il declino, se non addirittura invertire la tendenza. È successo in diversi paesi europei. Dal 2000 ad oggi, la Francia è l'unico Paese europeo rimasto stabilmente vicino alla soglia di due figli per donna, benché dal 2015 il Paese abbia visto gradualmente scendere il suo tasso di fecondità. Il suo approccio è incentrato su un articolato sistema di sostegno finanziario alle famiglie e sulla garanzia di accesso a servizi per l'infanzia. La Finlandia ha sperimentato tra il 2019 e il 2021 una netta ripresa del tasso di natalità, con una flessione nel 2022. In quell'anno ha adottato una delle riforme sul congedo parentale più innovative d’Europa, con la possibilità di trasferire parte della quota all'altro genitore. L’accesso ai servizi per la prima infanzia è inoltre garantito ad una percentuale di bambini molto elevata, tra i 2 e i 3 anni al 69,6%. In Germania il tasso di fecondità è aumentato tra il 2020 e il 2021, ma ha avuto un drastico calo di nuovo nel 2022, passando da 1,58 a 1,46 figli per donna: supporto economico, congedo parentale part-time mentre si lavora, diritto al posto in un asilo nido. Infine, la Repubblica Ceca dal 2011 ha progressivamente aumentato il tasso di fecondità, fino ad arrivare a 1,83 figli per donna nel 2021, anche se nel 2022 come e più che negli altri Paesi europei, anche qui il tasso è tornato a scendere. Bassissimo il tasso di servizi per l’infanzia 0-2 anni, 6% compensato da un modello di cura tradizionale, con lunghe astensione dal lavoro delle madri.

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