La Spezia, manifestazione di protesta contro la fiera Seatuture 2021 - FOTO RETE PACE E DISARMO
«Vendesi cacciatorpediniere anni '90 in ottimo stato, uniproprietario, tagliandato regolarmente, astenersi perditempo». Un annuncio in questi termini a La Spezia non c'è, ma al salone Seafuture 2021 l'usato della Marina militare italiana è uno dei pezzi forti dell'esposizione, assieme alla promozione delle aziende che producono sistemi d'arma e di sicurezza da vendere in giro per il mondo. Inaugurata ieri dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, la fiera è sponsorizzata dai principali protagonisti italiani della produzione di sistemi d'arma come Fincantieri, Leonardo e Mbda. Molte le delegazioni straniere, tra cui numerosi paesi africani, mediorientali e asiatici che cercano anche navigli d'occasione per attrezzare le loro marine militari. Un evento anche quest'anno è stato accompagnato dalle critiche delle organizzazioni impegnate per la pace e il disarmo, riunite nel Comitato Riconvertiamo Seafuture.
All'inaugurazione il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha usato toni entusiastici: «Il rifinanziamento del fondo per gli investimenti della Difesa previsto dall'ultima legge di bilancio - ha dichiarato al taglio del nastro Guerini - ci ha consentito di promuovere mirate strategie per associare lo sviluppo delle capacità militare di cui il Paese necessita, al consolidamento dei relativi settori tecnologici industriali, proiettando investimenti stabili in ricerca e innovazione, con le più ampie ricadute sul piano economico e occupazionale».
La fiera bellica, nata a Genova negli anni '80, aveva sollevato all'epoca la forte opposizione del movimento pacifista. Tanto da essere riconvertita in un evento diverso. Nel 2009 infatti l'appuntamento viene smilitarizzato e riapre i padiglioni a La Spezia come «fiera internazionale dell'area mediterranea dedicata a innovazione, ricerca, sviluppo e tecnologie inerenti al mare». Poi, dopo la legge navale del 2014, che ha stanziato quasi 5,5 miliardi di euro per l'ammodernamento della flotta militare italiana e la costruzione di una portaerei, la fiera di La Spezia rimette la divisa, con una spolverata di blue economy, innovazione e sostenibilità.
Una cinquantina le delegazioni delle marine di mezzo mondo. Non solo Europa e paesi Nato, numerose anche le marine africane: Algeria, Camerun, Congo, Etiopia, Ghana, Costa d'Avorio, Mauritania, Marocco, Mozambico, Nigeria, Senegal, Tunisia. Presenti anche paesi asiatici come Bangladesh, Indonesia, Malesia, Sri Lanka, Thailandia. E mediorientali: Giordania, Libano, Oman, Turchia. Diversi di questi paesi negli anni scorsi hanno già fatto acquisti nell'usato della Marina militare.
Come le quattro vecchie navi della Marina ancorate nel porto di Augusta, vendute alla Turchia con la formula As is, più o meno "viste e piaciute", con rimozione a carico dell’acquirente, dopo una gara pubblica vinta dalla società turca Simsekler General Ship Chandlers & Ship Repair Inc. Un'impresa specializzata in demolizioni e riciclo del naviglio dismesso. Sicuramente in servizio i quattro pattugliatori venduti nel 2016 alla Guardia Costiera del Bangladesh, corvette italiane radiate nel 2015. Le prime due ad essere consegnate sono state la Minerva e la Sibilla, rinominate Syed nazrul e Tajuddin. Ma anche il Perù negli anni scorsi si è aggiudicato navi militari dismesse dalla Marina italiana. «C’è un mondo che affacciandosi sul mare ha bisogno di dotarsi di capacità marittime - spiegava l’ammiraglio Gianfranco Annunziata dello Stato Maggiore della Marina, project officer di Seafuture - e cerca nell’usato una soluzione. La Marina italiana ha in via di dismissione un certo numero di unità navali, alcune delle quali a La Spezia durante Seafuture. Potremo mostrare che navi con trent’anni di vita sono ancora pienamente operative ed efficaci».
Contro l'evento spezzino si è mobilitato un pezzo di società civile. Già domenica, in vista dell'inaugurazione, il Comitato Riconvertiamo Seafuture ha manifestato proprio davanti all'Arsenale militare, definendo la fiera «una piattaforma di affari per le aziende del settore “difesa e sicurezza” ammantato di sostenibilità ambientale e innovazione tecnologica». «Abbiamo capito benissimo che Seafuture è stata convertita al militare - dichiara Giorgio Beretta, portavoce del Comitato Riconvertiamo Seafuture - e lo diciamo già dal 2014. Conosciamo bene il "pacifismo affaristico" che Seafuture propone da anni e i devastanti effetti nel mondo del portare la pace e la democrazia con le armi, non da ultimo in Afghanistan. Abbiano però almeno la decenza di chiamare le cose col loro nome: Seafuture è un salone dell'industria bellica».
Critico anche il consigliere nazionale di Pax Christi Italia, don Renato Sacco: «Seafuture è una fiera della guerra, una mostra di sistemi d'arma frequentata da paesi non proprio rispettosi della pace e dei diritti umani. Dopo un disastro solitamente si corre ai ripari: le aziende automobilistiche richiamano i modelli difettosi, funivie e ponti autostradali sono stati ricontrollati. La tragedia dell'Afghanistan ci insegna e ci impegna a non ripetere questi errori. Invece prepariamo un futuro di nuove tragiche guerre».
Le organizzazioni per la riconversione civile della fiera ricordano l'inquinamento nel porto militare di La Spezia «usato come discarica di liquami e rifiuti tossici anche radioattivi tuttora presenti». Ora Seafuture «intende dare lezioni sulla sostenibilità ambientale utilizzando gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite per il proprio green-washing, un’operazione di facciata per continuare a nascondere l’inquinamento prodotto da strutture come l’Arsenale Militare tuttora in buona parte ricoperto di eternit e amianto». Le organizzazioni condannano infine «l’invito all’evento rivolto dagli organizzatori ai rappresentanti delle Forze armate di paesi esteri belligeranti, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, delle libertà democratiche e del diritto internazionale umanitario». E ricordano che «nei porti italiani vengono imbarcati sistemi militari e continuano a transitare armamenti destinati a paesi in guerra ed a governi responsabili di gravi violazioni del diritti umani e del diritto umanitario, in aperto contrasto con le norme nazionali e internazionali sul commercio di armi».