lunedì 30 dicembre 2024
Viaggio negli ex feudi dei clan a sud ovest di Milano, dove la società civile ha rialzato la testa. Don Mapelli riceve in gestione le ville confiscate e le “ricicla” a fini sociali
Casa Pio La Torre: la villa di Trezzano sul Naviglio confiscata ai clan e trasformata in residenza per disoccupati e padri separati

Casa Pio La Torre: la villa di Trezzano sul Naviglio confiscata ai clan e trasformata in residenza per disoccupati e padri separati - .

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«La criminalità è organizzata, noi forse un po’ meno… Ma diciamo che ci diamo da fare». Don Massimo Mapelli fa antimafia con i fatti su un territorio minato, l’hinterland sud ovest di Milano, ad alta densità ndranghetista. Buccinasco, Corsico, Trezzano sul Naviglio: un “triangolo d’oro” che fino a poco tempo fa compariva più nelle inchieste della Dia sul narcotraffico che tra le pagine di cronaca.

Ma da qualche anno il vento sembra cambiato. Un po’ per il bombardamento di indagini che hanno bonificato la zona, portando in carcere diversi uomini dei clan, un po’ per l’orgoglio della società civile, che non ha più voglia di chinare la testa quando incrocia i malavitosi per strada.

Con la sua associazione “Una casa anche per te”, don Mapelli prende in gestione i beni confiscati ai clan e li ricicla a fini sociali. Ha iniziato 10 anni fa con la Libera masseria di Cisliano, convertita in centro di accoglienza e di educazione alla legalità, ha proseguito con una bifamiliare requisita a Trezzano, nel quartiere residenziale dove i mafiosi abitavano (e abitano) in graziose bifamiliari con giardino. Nella casa, dedicata a Pio La Torre, ora abitano padri separati e disoccupati che altrimenti dormirebbero in macchina.

A un paio di chilometri c’è via Donizetti: la chiamavano la “via delle mafie”, perché ci vivevano famiglie di Cosa Nostra (le prime a mettere radici), oltre che di ‘Ndrangheta. Fu proprio in via Donizetti che furono trovate le celle per i primi sequestri di persona. Oggi una di queste ville è diventata una residenza per ragazze madri. L’hanno intitolata a Lea Garofalo, testimone di giustizia ammazzata dai Cosco. Uno schiaffo alle piovre, che da queste parti sono sempre state buone vicine e socie d’affari, soprattutto nel narcotraffico. Inutile però cercare fortini e tantomeno magioni hollywoodiane: i clan si sono sempre ben mimetizzati tra le case della middle class lombarda.


In un ex bar requisito alle ‘ndrine
è nato lo sportello anti usura e racket
«Aiutiamo le vittime a non sentirsi sole»
I boss tengono un basso profilo,
ma Bottero, ex sindaco di Trezzano,
avvisa: «La sfida non è vinta»

Una borghesia mafiosa ingrassata grazie ai proventi della droga, con l’eroina che negli anni ’80-‘90 arrivava a fiumi – fino a 100 kg al mese – dalla Turchia. Un commercio che il clan Sergi-Papalia dirigeva comodamente dai bar di Corsico, strategicamente affacciati sulla Vigevanese per vedere chi andava e chi veniva. Uno di questi locali fu confiscato nel 2002 e assegnato al Comune, che ci installò la Pro Loco. Da un anno e mezzo l’ex bar è sede dello Sportello anti usura e racket intitolato a Davide Salluzzo, compianto referente regionale di Libera. Don Mapelli e i suoi collaboratori lo utilizzano per incontrare chi deve fare i conti con estorsioni e debiti, spesso da gioco d’azzardo.

Don Massimo Mapelli ed Elena Simeti nella sede dello Sportello antiusura

Don Massimo Mapelli ed Elena Simeti nella sede dello Sportello antiusura - .

«Prestiamo assistenza legale, ma offriamo anche sostegno umano. Vogliamo far capire a queste persone che non sono sole - spiega il sacerdote -. In un anno e mezzo di attività abbiamo seguito nove casi, tra cui quello della moglie di un imprenditore edile rimasto invischiato nei rapporti con i clan. La donna aveva paura di testimoniare, noi l’abbiamo accompagnata in tribunale dove purtroppo ha rivisto i personaggi che tenevano sotto scacco il marito. Poi è toccato a una signora peruviana: si era indebitata giocando alla cunta, molto diffusa tra i sudamericani. Si inizia per divertimento, ma poi spuntano i soldi: se perdi cerchi prestiti, ma poi ti richiedono indietro i soldi con gli interessi e senza tanti complimenti. Per un periodo l’abbiamo aiutata a sparire dalla circolazione, per la sua incolumità».

Storie difficili e ingarbugliate, che don Mapelli e i suoi provano a sbrogliare. Un impegno scomodo, soprattutto se nei paraggi ci sono gli uomini delle ’ndrine. «In realtà non ci hanno mai minacciato, potremmo dire che ognuno segue la sua strada. Solo una volta qui fuori c’era un tizio fermo ad osservare: se hai l’occhio allenato, ti accorgi di certe presenze… - spiega Elena Simeti, braccio destro di don Mapelli - A Garbagnate, dove ci avevano assegnato un altro bar confiscato, è andata decisamente peggio. In un anno di gestione non è entrato nessuno, nemmeno autorità e forze dell’ordine: gli ex proprietari avevano fatto capire a tutti che non gradivano la nostra attività. Abbiamo dovuto chiudere».

A Buccinasco e dintorni si respira invece un’aria più pulita rispetto al passato. Lo ha confermato la manifestazione popolare a favore del sindaco Rino Pruiti, minacciato di morte a inizio dicembre. «Se non altro qui nessuno si permette più di dire che la mafia non esiste – sottolinea don Massimo – altrove non è così: parlare dei clan per qualcuno è ancora tabù». Non che le ’ndrine si siano estinte, solo che preferiscono non far rumore, come ha spiegato di recente ad Avvenire il capo della Dda milanese, Alessandra Dolci. E quando c’è da alzare la voce, meglio lasciar parlare gli avvocati. Come ha fatto il capofamiglia Rocco Papalia: tornato uomo libero dopo 26 anni di carcere, ha subito scatenato una battaglia legale per riappropriarsi del cortile della villetta di via Nearco, confiscata a metà e affidata al Comune di Buccinasco, che vi aveva ospitato i minori stranieri non accompagnati e poi i profughi ucraini. La convivenza è difficile, ma il sindaco Pruiti tiene la posizione con fermezza.

«Il nostro territorio è stato il primo a essere infestato dai clan, e quindi è stato anche il primo a sviluppare gli anticorpi sociali – chiosa Fabio Bottero, ex sindaco di Trezzano e ora coordinatore regionale di Avviso Pubblico – Negli ultimi anni è cresciuta una rete formata da amministrazioni locali, associazioni, organizzazioni datoriali e sindacali, parrocchie. Un’unione che fa la forza e che contribuisce a tenere bassa la cresta dei clan. Ma l’attenzione deve restare alta, perché ogni tanto qualcuno di questi signori prova a infiltrarsi anche nel nostro mondo. Insomma, abbiamo vinto partite importanti, ma non ancora il campionato».

Lo dimostra la triste sorte del campo di calcio tra Corsico e Cesano Boscone. Adesso è coperto di erbacce, ma fino a qualche anno fa vi sgambettavano i bambini di una società satelllite del Milan. Ragazzini dei quartieri popolari, che il patron Fabio Durante tirava su a pane e legalità, fino a toccare i 400 iscritti, divisi in 18 squadre. Attività nobile e dunque fastidiosa per i criminali, che prima gli hanno offerto soldi per cederla, poi sono passati alle intimidazioni. Di mezzo ci si è messo anche il Covid, che ha dato il colpo di grazia. La scuola calcio ha chiuso, i boss hanno esultato. «Perché il calcio dilettantistico è uno straordinario strumento di consenso - fa notare don Mapelli mostrando il campo abbandonato – se vinci la gente ti vuole bene, passi per benefattore». Come quando, proprio durante la pandemia, i clan si inventarono un welfare su misura: «Spuntarono dal nulla varie cooperative che fornivano cibo e altri aiuti a chi ne aveva bisogno - rivela Elena Simeti – Un modo facile per guadagnarsi l’appoggio della gente».

Brutti ricordi che sembrano lontanissimi, mentre ci si ritrova a sorseggiare un caffè in un bar frequentatissimo che si chiama Oro Bianco. Proprio come, coincidenza, il libro sul traffico globale di cocaina scritto da Nicola Gratteri, procuratore di Napoli, già icona anti-‘Ndrangheta. Chissà se l’hanno letto anche a Corsico.


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