giovedì 3 agosto 2023
Lo studio approvato dalla rivista dimostra che "ricerca e soccorso nella rotta del Mediterraneo non induce alla migrazione”. In nome di una teoria falsa sono stati impediti migliaia di salvataggi.
Nature: parlare di "pull factor" è antiscientifico
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"La ricerca e il salvataggio nella rotta del Mediterraneo centrale non induce alla migrazione”. E’ il titolo con cui Nature, la più autorevole rivista scientifica del mondo, pubblica oggi uno studio sui flussi migratori. E smentisce tutte le leggende contro le navi di soccorso statali e delle organizzazioni umanitarie.

“L'insieme dei risultati indica che la migrazione attraverso il Mediterraneo centrale tra il 2011 e il 2020 potrebbe essere stata guidata da fattori quali conflitti o condizioni economiche o ambientali, piuttosto che da operazioni di ricerca e salvataggio”. Alla larga dagli isterismi e dalle contrapposizioni ideologiche i ricercatori hanno deciso di investigare sull’ipotetico "fattore di attrazione" concentrandosi “sul Mediterraneo centrale - spiegano -, la rotta migratoria irregolare più frequente e mortale verso l'Europa nell'ultimo decennio”.

L’ipotesi su cui lavorare si riassumeva con le parole adoperate da diversi esponenti politici europei: “Le attività di ricerca e salvataggio condotte dallo Stato e dai privati favoriscono la migrazione irregolare (e quindi i decessi dei migranti) alterando il calcolo delle decisioni associate al viaggio”. Lavorando esclusivamente secondo il metodo scientifico si è arrivati alla conclusione opposta, che semmai fa apparire non solo falsa ma antiscientifica la posizione di chi indica una correlazione tra mezzi di soccorso e aumento dei flussi migratori.

Dal 2014 solo nel Mediterraneo l'Organizzazione Onu per le migrazioni (Oim) ha registrato 27.722 dispersi in mare. Molte di quelle vite potevano essere salvate se non si fosse dato credito a teorie infondate, alimentate da una visione politica distorta, che ha scelto di desertificare il Mare Nostrum dalle navi di soccorso istituzionali, ostacolando con ogni mezzo le operazioni delle organizzazioni umanitarie.

Lo studio è stato coordinato da Alejandra Rodríguez Sánchez, docente all’università tedesca di Potsdam e tra gli altri si è avvalso del lavoro di Stefano Maria Iacus, dell’Istituto per le scienze sociali quantitative dell’università di Harvard. E' pubblicato da "Nature Scientific Reports", la quinta rivista più citata al mondo. Tre i momenti presi in esame. Primo: l’operazione Mare Nostrum guidata dall’Italia nel periodo dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014. Secondo: ricerca e salvataggio a cura delle organizzazioni umanitarie. Terzo, e più controverso: i respingimenti coordinati da parte della Guardia Costiera libica.

I ricercatori hanno tenuto in conto, fra i molti fattori, arrivando a stabilire che “le politiche di respingimento hanno influenzato il flusso migratorio, ma che i periodi di ricerca e salvataggio non hanno prodotto una differenza discernibile tra il numero di tentativi di attraversamento osservato e quello controfattuale previsto”. Di conseguenza, non trova sostegno alcuno l’ipotesi che indica “la ricerca e il salvataggio come motore della migrazione irregolare”. Secondo Nature, “le operazioni di ricerca e salvataggio delle imbarcazioni che trasportano i migranti nel Mediterraneo centrale non sembrano influenzare il tasso di tentativi di attraversamento”.

I risultati contraddicono le precedenti affermazioni secondo cui la presenza delle navi di soccorso, sia quelle delle organizzazioni umanitarie che i vascelli statali, “hanno portato a un aumento dei tentativi di attraversamento e a un maggiore rischio di morte per i migranti”.

Il tratto di Mediterraneo tra il Nord Africa e l'Italia è una delle rotte più utilizzate da migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Per arrivare a questa conclusione sono stati raccolti ed esaminati “i dati sul numero di tentativi di attraversamento, sulle imbarcazioni di ritorno in Tunisia e in Libia e sui decessi documentati dei migranti”. La base statistica è quella ufficiale: i dati messi a disposizione da Frontex, l’agenzia europea per la protezione dei confini, e quelli delle guardie costiere tunisine e libiche, incrociandoli con le informazioni dell’Oim, l’agenzia Onu per i migranti. I ricercatori hanno poi effettuato delle simulazioni per identificare i fattori che meglio hanno predetto le variazioni nel numero di attraversamenti osservati durante il periodo esaminato: numero di operazioni di ricerca e salvataggio condotte dallo Stato e da privati, i tassi di cambio delle valute, i prezzi internazionali delle materie prime, i tassi di disoccupazione, i conflitti, la violenza, il flusso del traffico aereo tra i Paesi africani, mediorientali ed europei e le condizioni meteorologiche.

Per gli autori dello studio approvato da Nature, è stato riscontrato come la presenza di soccorritori in mare “non incentiva ulteriori tentativi di attraversamento. Tuttavia, il numero di attraversamenti di frontiera sembra essere guidato da alcuni cambiamenti nell'intensità dei conflitti, nei prezzi dei prodotti di base e delle materie prime e dei disastri naturali, nonché dalle condizioni meteorologiche, dagli scambi valutari e dal traffico aereo tra Nord Africa e Medio Oriente e l'Unione Europea”.

Al contrario, se l'aumento delle attività della cosiddetta Guardia costiera libica “nell'intercettare e riportare in Libia le imbarcazioni a partire dal 2017” sembrano aver determinato una riduzione dei tentativi di attraversamento scoraggiando la migrazione, nella realtà la diminuzione delle partenze è invece coincisa “con le segnalazioni di un deterioramento della situazione dei diritti umani dei potenziali migranti in Libia, durante le intercettazioni e i rimpatri, nonché nei centri di detenzione”.

La teoria del "pull factor", fondata su interessi politici e ideologici, ne esce defnitivamente demolita dai ricercatori. Tuttavia proprio nel nome del contrasto al "fattore di attrazione" sono state imbastite le politiche del respingimento e del mancato soccorso in mare. Con il risultato di aver impedito il salvataggio di migliaia di vite senza avere minimamente intaccato il reale andamento dei flussi migratori, semmai aggravando gli abusi contro i diritti umani.

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