La ministra libica El Mangoush e il ministro degli Esteri italiano Tajani - Ansa
Gli attivisti delle Ong hanno scandito slogan di protesta per tutto il pomeriggio. “Stop ai respingimenti”. “Vergogna”, “Basta con questa politica di morte”, gridano Luca Casarini e gli altri volontari della “Mediterranea Saving Humans”, fermati da un cordone di poliziotti davanti al Cantiere navale Vittoria ad Adria, in Polesine.
Arriva il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e anche nella sua veste di titolare della cooperazione internazionale cerca di rassicurare: «Non vogliamo che il Mediterraneo sia più un cimitero di migranti». La ministra degli Esteri libica, Najila El Mangoush, lo ascolta e fa un cenno di assenso con il capo. Così pure il Commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato, Olivér Várhelyi, anche lui presente in cantiere, secondo cui l’Europa deve «aiutare Tripoli a stabilizzarsi».
La cerimonia svoltasi nel Polesine nel tardo pomeriggio di ieri si celebra negli stessi minuti in cui, dalla Sicilia, filtra la notizia che la Marina militare italiana avrebbe sventato un sequestro di pescherecci italiani (tre di Mazara del Vallo e una di Pozzallo) da parte proprio di unità libiche. Per Flai Cgil, «appena una settimana fa la presidente del consiglio Meloni, insieme ai ministri Tajani e Piantedosi, è stata in Libia, senza che evidentemente l’argomento sia stato trattato. Eppure la sicurezza dei pescatori nel Mediterraneo continua a essere un nodo ancora irrisolto».
L’occasione dell’incontro di ieri, invece, è stata la consegna alle autorità libiche di una motovedetta “classe 300” di nuova fabbricazione, nell’ambito del progetto europeo “Sibmmil”. Tajani ringrazia la ministra Mangoush per la presenza e – aggiunge – «per il suo personale impegno per approfondire la lotta all’immigrazione illegale». Altre unità navali, garantisce, saranno presto consegnate. Come dire che gli aiuti non si fermano qui.
Intanto all’esterno, Casarini e i suoi hanno superato i blocchi della polizia. «Siamo tutti armati di foto, quelle che arrivano dai lager libici. Orrori finanziati dallo Stato italiano e dall’Unione Europea – fa pressing verbale Casarini -. Questa è una cerimonia piena di ipocrisia, che festeggia la deportazione di 32 mila uomini, donne e bambini, l’anno scorso, e i 10 morti degli ultimi 4 giorni. Una politica mortuaria».
Un attimo di riflessione e poi Casarini lancia un interrogativo. «Dirà, il governo italiano che la Libia, non essendo un “place of safety” per la Convenzione di Amburgo, non può condurre nessuna operazione che si possa definire di “soccorso”, visto che non sono garantiti i diritti umani? Io non credo lo farà». Ci si passa le agenzie che danno conto della motovedetta libica che, guarda caso, ha tentato di sequestrare tre pescherecci di Mazara del Vallo, il “Pegaso”, il “Giacomo Gancitano” e il “Twenty Three”, ed un motopesca di Pozzallo, il “Vincenzo Ruta”, a 80 miglia a Nord di Tripoli e che solo l’intervento della nave militare “San Marco” con l’invio di un elicottero sulla zona di pesca ha fatto desistere dall’azione. Chissà, ci si dice, se quella motovedetta è anch’essa un dono dell’Italia.
Tajani sfoglia, all’interno del cantiere, il vocabolario della cooperazione. Italia e Libia, con il sostegno dell’Ue, «devono lavorare insieme a soluzioni sostenibili per la gestione del fenomeno migratorio, assicurando un trattamento umano a persone più vulnerabili». Rivolto alla rappresentante del governo libico, riconosce che «di sforzi ne avete compiuti, ma i flussi irregolari sono ahimè alti». E poi puntualizza: «L’Italia vuole essere protagonista dell’unità nazionale libica per arrivare al voto. Stiamo parlando con tutti gli interlocutori».
Sembrano rassicuranti – almeno questo appare il tentativo – i toni con i quali interviene Najla el Mangoush. Il governo di unità nazionale della Libia (Gun), l’Italia e l’Unione Europea stanno «lavorando insieme molto duramente per prevenire il problema dell’immigrazione illegale». E oggi – aggiunge - «abbiamo stabilito il primo passo verso una migliore stabilità e sicurezza della regione del Mediterraneo».
Sullo sfondo, però, resta il sequestro sventato dalla “San Marco” venerdì. Mentre si fa molto poco per salvare vite in mare, esiste anche un problema sicurezza per chi in mare lavora tutti i giorni. «Bisogna individuare e mettere in atto tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti umani dei pescatori italiani che operano nel canale di Sicilia e per assicurare loro la possibilita' di continuare a pescare in quelle acque» ribadiscono da Palermo i sindacati.