Un rider a Milano (Fotogramma)
È un minestrone indigesto questa inchiesta sui rider anche per la Procura che l’ha aperta. Per ora è solo «un’indagine conoscitiva, ma un’indagine doverosa», spiega Tiziana Siciliano, che «come primo obiettivo punta sulla sicurezza. Un’indagine sulla prevenzione», per quella folla misera e precaria di fattorini in bici che consegnano cibo a domicilio. Un’indagine nata per strada alle soglie dell’estate, «dalla fotografia di una realtà che è sotto gli occhi di tutti», aggiunge la procuratrice che la coordina con Maura Ripamonti. Un’indagine semplice, solo alle prime pedalate.
È infatti bastato fermare 30 ciclisti per scoprire, nel mese di luglio, che persino in questa realtà di conclamato sfruttamento esiste il subappalto. Che ci sono fattorini, immigrati con le carte in regola, che affidano il proprio telefonino, e dunque la chiamate di lavoro, a immigrati senza permesso di soggiorno, muniti soltanto di una sgangherata bicicletta. Su 30 controlli 3 sono risultati «stranieri non in regola». Ma per gli uomini del Dipartimento ambiente, sicurezza, salute e lavoro della Polizia Locale, cui è affidata operativamente l’inchiesta, il fenomeno è tanto diffuso quanto difficile da misurare, visto che siamo in presenza di “lavoro occasionale” e che questi “lavoratori autonomi” servono a coprire le intere 24 ore. L’ipotesi più favorevole per questi irregolari è che si siano arrischiati a "comprare" l’account da fattorini registrati.
Registrati dove? Sulle piattaforme informatiche di società come Glovo, Deliveroo, Uber, JustEat che, nella maggioranza dei casi, operano come mediatori con contratti a prestazione occasionale. Contratti con lavoratori autonomi che non conoscono un padrone con cui non decidono la paga. Che vengono “valutati” e “assunti” da un algoritmo. Che rispondono su Internet a un messaggio con due indirizzi: quello del ristorante o della tavola calda da cui prelevare il cibo e quello del cliente cui consegnarlo, nel più breve tempo possibile, prima che si raffreddi. E corrono come in volata con un occhio alla strada e un altro al percorso in una città che conoscono solo su Google Maps.
Nessuno dei rider si è mai visto controllare le bici, il “mezzo proprio” obbligatoriamente richiesto per potere lavorare. Ancora, solo 3 dei fattorini, su tutti i fermati prima e sentiti dopo, hanno dichiarato di avere avuto qualche sommaria istruzione sul lavoro. «Ormai muoversi di sera in città è diventata una sfida contro le insidie e i pericoli per via di questo sistema di distribuzione del cibo – sintetizza Siciliano –. Con questi rider che nelle ore canoniche sfrecciano senza alcun presidio, come i giubbotti catarifrangenti o il casco, senza scarpe adeguate, senza freni sicuri. E in contromano o sui marciapiedi senza alcuna osservanza delle regole stradali». Tutto ciò, ha aggiunto la procuratrice, «crea problemi di sicurezza diffusa non solo per chi presta l’attività lavorativa». Di qui la decisone di monitorare incidenti stradali, certo «a tutela dei rider che vi sono coinvolti, ma anche a garanzia della collettività». Con la speranza di poter configurare una responsabilità per chi li manda a lavorare.
Messo tutto questo nell’inchiesta, nel fascicolo appena aperto, non c’è un nome, non c’è ancora un indiziato, non c’è alcun titolo di reato. Dunque una iniziativa inusuale, «ma che consente di esplorare questo fenomeno che è ampio e in espansione ma senza controlli». Le cause fin qui aperte riguardano solo i profili giuslavoristici, la natura del rapporto se subordinato o autonomo. Questa inchiesta punta a contestate le violazioni sul decreto legislativo (che sarà iscritto tra breve) in materia di sicurezza sul lavoro. «E la Procura preferisce, in questo caso, intervenire prima ed esercitare un ruolo di prevenzione». Ce n’è anche a difesa dei consumatori. La Procura pretende ancora controlli igienici-sanitari sui trasporti. E poi vorrà scoprire come effettivamente vengano ripuliti dopo ogni consegna i contenitori, fino a sapere se nell’assemblaggio c’è differenza tra cibi caldi e freddi.