Non perde un secondo, Matteo Salvini, a mettere sul tavolo della 'fase due' del governo tutta la forza della vittoria di domenica. Una conferenza di mattina a Milano, una nel pomeriggio nella Capitale al ministero dell’Interno. Parole come pietre che cadono su Palazzo Chigi. «Dobbiamo ridurre la pressione fiscale e accelerare su Autonomia e infrastrutture», sono i tre colpi che batte il leader della Lega mettendo una fretta forsennata addosso all’alleato ancora intontito dal crollo elettorale. E non si limita a fissare i tempi, il vicepremier del Carroccio. Nonostante le lusinghe («Luigi tenga duro, insieme siamo sopra il 50%...»), l’avviso che arriva a Conte e Di Maio è chiaro ed è filtrato dagli sherpa leghisti: Salvini ha fatto di conto, può ottenere il voto anticipato per l’8 o il 15 settembre inducendo lo scioglimento delle Camere entro fine luglio.
È quindi disposto, il segretario della Lega, a concedere non più di 30-40 giorni al Movimento per scegliere cosa fare: dire «no» all’agenda del Carroccio e quindi diventare corresponsabile del voto anticipato o piegarsi alle proposte leghiste pur di non concludere la legislatura. E a sera Salvini lancia un nuovo messaggio: «Io non rompo in base alle convenienze. Io sono leale, ma se invece di ripartire ricomincia Di Battista ad attaccarmi...». Sono voci che arrivano anche al Quirinale. Si attiverà, il capo dello Stato, solo quando il premier e i leader faranno una mossa politica chiara e decifrabile.
Di Maio prende tempo, e nel suo confronto con la stampa tenutosi nel primo pomeriggio alla Camera fa l’unica proposta possibile in questo momento: «Ho chiesto a Conte un vertice a tre». E sui temi leghisti non apre e non chiude. Non si sbilancia sulla flat-tax («Tria ha detto che i soldi ci sono, noi la vogliamo per il ceto medio...», dice riferendosi alla posizione del ministro dell’Economia per cui una parte delle risorse potrebbe venire dal 'riassorbimento' del bonus da 80 euro), non si sbilancia sull’Autonomia - «a noi basta che non ci siano scuole di serie C al Sud» -, ripete la posizione storica sulla Tav, ovvero la «ridiscussione integrale del progetto». «Un vertice? Io sto qui», replica Salvini. Ma l’incontro non è stato ancora fissato. E il ministro dell’Interno alza la posta: «Mi aspetto un Cdm in settimana, il decreto-sicurezza è pronto...». Conte sente il fiato sul collo e soprattutto avverte la mancanza di fiducia di Salvini alla luce delle posizione prese dal premier nell’ultima settimana di campagna elettorale. «Devo guardare negli occhi Luigi e Matteo per capire...», ha detto ieri sera il premier. Trenta giorni, quindi, non di più.
Che potranno essere utilizzati per la ripartenza dell’esecutivo o per un lento 'gioco del cerino'. Ma sono giorni in cui Salvini e Di Maio non staranno in una campana di vetro. Perché intanto si sta muovendo, con le ruspe, anche l’Unione Europea. È ormai imminente l’arrivo a Roma di una lettera di Bruxelles che chiede chiarimenti su deficit e debito, premessa di un’eventuale, ormai non più sussurrata, apertura di una procedura per debito. Salvini risponde per le rime a Bruxelles: «Prendano atto che i popoli hanno votato per cambiare e per la crescita», l’era «della precarietà e della disoccupazione è finita. Le tasse non si alzano, l’aumento Iva non esiste, i parametri vanno cambiati a partire dal 3%».
Pochi secondi dopo queste parole lo spread schizza a 280. Segno che i conti sul futuro del Paese non potranno essere fatti da soli. Intanto il leader della Lega, galvanizzato dal successo, vuole prendere tra le mani anche la partita del commissario europeo che spetta all’Italia, che anche M5s ha rivendicato sino a pochi giorni fa. L’idea di Salvini è di mandare a Bruxelles Giancarlo Giorgetti, l’attuale sottosegretario a Palazzo Chigi. Ieri, capannelli del Carroccio ricordavano che tra i titoli Giorgetti vanta il tifo smisurato per una squadra di calcio inglese, il Southampton. In realtà, Salvini crede che su questo nome possa avere un 'nulla osta' anche da Fi e da parte del Pd.