Dino Piero Giarda conosce molto bene le problematiche che rallentano il processo decisionale in Italia. Professore di Economia e di Scienza delle Finanze alla Cattolica di Milano, ha al suo attivo una lunga permanenza da tecnico al governo. Durante il governo Monti è stato ministro dei Rapporti con il Parlamento, incaricato dell’attuazione del programma, nonché responsabile della spending review. Ecco le sue valutazioni.
Professore, 2/3 dei provvedimenti del governo Monti sono ancora in attesa di decreti attuativi o dei regolamenti. Qual è la causa di questo fenomeno?Succede spesso, da parte di tutti i governi, che una buona idea legislativa rimandi ad atti successivi le modalità pratiche della sua attuazione. Per esempio molti provvedimenti che destinano benefici o agevolazioni a particolari categorie di cittadini identificate nella legge in termini generici. Questa genericità è voluta da governo e Parlamento per risolvere diversità di punti di vista su chi esattamente deve utilizzare le provvidenza della legge. Quindi, le scelte che la legge dovrebbe fare sono rinviate e affidate ad una fase negoziale successiva all’approvazione che richiede tempi e discussioni per essere attuata.
La sua esperienza in questo senso nel governo Monti?Nei primi otto mesi ci siamo dovuti dedicare a dare attuazione ai provvedimenti legislativi approvati dal Parlamento nel 2010 e 2011, vigente il governo Berlusconi. Si fanno, tutti fanno, molte leggi che devono essere attuate: i provvedimenti attuativi si sgranano nel tempo soprattutto perché le amministrazioni sono occupate a dare attuazione ai provvedimenti dei governi precedenti. In quegli stessi primi otto mesi, il governo Monti ha adottato provvedimenti attuativi di leggi approvate nel 2007-2008 dal secondo governo Prodi. Abbiamo persino trovato sulla Gazzetta Ufficiale nel 1° semestre 2012 un provvedimento attuativo di una legge approvata nel 2000, dal governo D’Alema!
Di chi è la colpa di questi ritardi endemici?Delle leggi che non indicano in modo certo i soggetti toccati dalla norma, rinviandone l’individuazione a regolamenti attuativi; dei ministri che non hanno saputo o potuto risolvere i problemi durante l’approvazione della legge o del decreto; dell’amministrazione che, tendenzialmente, considera male le novità delle leggi; dei ministri che spesso, nella preparazione dei disegni di legge, scavalcano le strutture ministeriali.
E la spending rewiev che fine ha fatto?Gli interventi sulla spesa sono stati fatti, tanto è vero che la spesa in termini monetari (a prezzi correnti) negli ultimi due anni è diminuita. Gli interventi attuati già nella seconda parte del governo Berlusconi (2010-2011) sono stati robusti. Si poteva fare di più e meglio? Certamente sì, ma le azioni in profondità sulla spesa richiedono tempo: si tratta di riorganizzare la produzione dei servizi e rideterminare i beneficiari dell’intervento pubblico, due azioni a forte contenuto politico. Il programma di spending review deve passare attraverso anche diversi governi, ma in Italia – a parte la diversità di opinioni politiche – sembra che i governi che si succedono non riescono a prendere vantaggio di quello che hanno fatto i governi precedenti. A partire dal 2001 è tutta una successione di fare e disfare da parte dei diversi governi. Come si riorganizza una grande azienda come lo Stato se non c’è una strategia condivisa e si discute solo per slogan?
In che misura la burocrazia rappresenta un freno alla politica?Non c’è nulla che le burocrazie possono fare, nel senso di ostacolare l’avvio di una buona legge, se i ministri si occupano del loro ministero. Un ministro che si occupa, legge le carte, discute con il suo capo di gabinetto e i suoi capi di dipartimento, non ha problemi a costruire un buon provvedimento di legge o a dare rapidamente attuazione a leggi approvate dal Parlamento. È necessario per tutti impostare correttamente le questioni da affrontare; senza pensare di voler cambiare il mondo con un articolo di un decreto-legge, una tentazione alla quale spesso indulgono i ministri dei diversi governi.
Che giudizio dà della burocrazia italiana?La pubblica amministrazione italiana è molto diversificata al proprio interno. In un singolo ministero si trovano i migliori burocrati che lavorano fianco a fianco con sfaticati. Il risultato finale è a volte scoraggiante. È come se provenissero da percorsi formativi molto diversi, con motivazioni e aspettative molto diversi. È per usare una espressione colorita, una sorta di giungla. Si trovano coscienze integerrime a fianco di mentalità opportunistiche, come se la struttura operativa fosse stata costruita senza regole. Ci sono funzionari e dirigenti disposti ad aiutare i ministri e i politici a dare concretezza alle proprie idee; altri che oppongono obiezioni di natura solo formale. Insomma, un mondo complesso che riserva, giorno dopo giorno, sorprese positive e disappunti.