venerdì 22 settembre 2023
Il governatore Pd della Toscana: sono fortemente contrario al progetto. In questa vicenda il Terzo settore viene mortificato. E gli accordi sui migranti con Tunisi sono stati un fallimento
Eugenio Giani

Eugenio Giani - ANSA

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Vista dalla Toscana, l’immigrazione resta un fenomeno da affrontare dal punto di vista delle politiche sociali. Non solo partendo dal tema della sicurezza, anzi. «Abbiamo 7.500 persone inserite nel sistema dell’accoglienza – premette Eugenio Giani, presidente della Regione -. Soltanto l’anno scorso qui si è gestita l’emergenza umanitaria dei profughi ucraini seguendo i percorsi di 13mila persone che scappavano dalla guerra. Oggi ne abbiamo meno di 2mila, perché c’è chi è tornato e chi si è stabilito qui. Per noi non importa da dove arrivano queste persone: si tratta di storie che coinvolgono le nostre comunità, perché ciò che vivono tanti giovani che vediamo arrivare dal nord Africa come dall’Est Europa, lo hanno già vissuto i nostri bisnonni nel Novecento». Il governatore del Pd vorrebbe raccontare della sua terra operosa e accogliente, ma sa che il dibattito di queste ore ci sta portando da un’altra parte.
Si fanno i nomi di città come Prato e centri come Pescia, nel Pistoiese, per il nuovo Cpr regionale della Toscana…
La fermo subito. Indipendentemente dalla localizzazione, ribadisco la mia forte contrarietà al progetto. Contrarietà allo strumento, innanzitutto, che è tutto tranne che una novità. Abbiamo visto tutti cosa diventano i centri per il rimpatrio: dei lager, giuridicamente anticostituzionali. Si propongono come strutture detentive, non offrono alcuna garanzia di rispetto dei diritti sanciti dalla Carta. A guardia di questi centri, viene messo peraltro personale di cooperative, che è assolutamente inadeguato. La storia degli ultimi trent’anni ci insegna che i Cpr non servono nemmeno per garantire gli allontanamenti dei profughi previsti per legge.
Come spiega allora questo ennesimo giro di vite da parte del governo?
La chiave di lettura del fenomeno, da parte dell’esecutivo, è sempre la solita: i migranti sono un problema di ordine pubblico. Ma non è così: questa umanità che arriva sulle nostre coste somiglia tanto a quegli italiani che partivano da casa nostra perché non avevano più lavoro. Erano disposti a tutto, anche a rischiare la vita, pur di consegnare ai propri figli un futuro. Per di più, oggi approdano in un’Italia alle prese con un inverno demografico senza precedenti. Sanno che in Europa c’è più spazio per costruirsi un futuro e non esitano a prendersi dei rischi e a viaggiare in condizioni spesso disperate: perché troviamo in strada così tanti minori stranieri soli? Esattamente perché tanti di loro non hanno scelta e spesso giungono da noi spinti dalla stessa disperazione delle proprie famiglie d’origine.
Come rispondere alle difficoltà di tanti Comuni, che devono già farsene carico?
Serve più accoglienza diffusa, che vuol dire anche capacità di coinvolgere le realtà del Terzo settore, che negli anni scorsi erano stati i veri protagonisti dei percorsi di ospitalità: associazioni, cooperative e organizzazioni non profit hanno mobilitato le energie positive del Paese, aprendo le porte agli stranieri. Adesso invece queste esperienze sono state mortificate, con la proposta tra l’altro di partecipare a gare per l’accoglienza pensate secondo i criteri del massimo ribasso, a cui ovviamente non partecipa più nessuno.
Il suo collega Stefano Bonaccini ha detto che il governo dovrebbe chiedere scusa per il fallimento sulle politiche migratorie. È d’accordo?
Che di fallimento si tratti, mi pare evidente. Quando abbiamo visto Meloni andare a trattare con Saied in Tunisia per firmare il memorandum d’intesa, abbiamo sentito tutti quello che si sono detti: l’obiettivo era contenere i flussi migratori. È evidente che se oggi gli arrivi sono il doppio rispetto a un anno fa, qualcosa non ha funzionato. Anche il blocco navale mi sembra una ricetta sbagliata, destinata solo a provocare più morte. La premier ha ragione invece quando parla di guerra ai trafficanti, come ha dichiarato all’Onu. Dovrebbe aggiungere i valori della solidarietà e dell’impegno verso chi fugge da vere tragedie. Ma questo discorso non vale solo per l’Italia. Vale anche per l’Europa.

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