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La giornata è di quelle complesse. Un post tempesta che si comprende bene nelle parole con cui il presidente della Fondazione per la Natalità Gigi De Palo introduce l’intervento di Papa Francesco che, per il quarto anno consecutivo, non ha voluto far mancare la sua presenza e il suo sostengo per un tema che come lui stesso dirà poco dopo «mi è molto caro»: la natalità. E per affrontarlo quest’anno il pontefice utilizza tre parole chiave: realismo, lungimiranza e coraggio. Realismo per dire chiaramente che «la vita umana è un dono, non un problema». Alla base dell'inquinamento e della fame nel mondo non ci sono insomma i bambini che nascono, ma «le scelte di chi pensa solo a sé stesso, il delirio di un materialismo sfrenato, cieco e dilagante, di un consumismo che, come un virus malefico, intacca alla radice l'esistenza delle persone e della società».
Il problema - scandisce Bergoglio - non è in quanti siamo al mondo, ma che «mondo stiamo costruendo; non sono i figli, ma l'egoismo, che crea ingiustizie e strutture di peccato, fino a intrecciare malsane interdipendenze tra sistemi sociali, economici e politici. L'egoismo rende sordi alla voce di Dio, che ama per primo e insegna ad amare, e alla voce dei fratelli che ci stanno accanto». L’goismo che anestetizza perciò il cuore, «fa vivere di cose, senza più capire per cosa; induce ad avere tanti beni, senza più saper fare il bene. E le case si riempiono di oggetti e si svuotano di figli, diventando luoghi molto tristi». Nelle case così non mancano cagnolini e gatti, ma mancano i figli. «Il problema del nostro mondo non sono i bambini che nascono – ricorda ancora il Papa circondato sul palco dai bambini - sono l'egoismo, il consumismo e l'individualismo, che rendono le persone sazie, sole e infelici».
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In questo quadro di realismo, dove i maggior profitti – ricorda Francesco – vengono dalle fabbriche delle armi e dei contraccettivi, «uno distrugge la vita, l'altro impedisce la vita» – non bisogna comunque rassegnarsi e non bisogna fare in modo che la rassegnazione diventi un alibi per non fare nulla. Da qui la seconda parola: lungimiranza. Serve quindi seminare oggi per raccogliere domani. E l’impegno di tutti i governi, in un continente – l’Europa – che «si trasforma sempre più in un continente vecchio, stanco e rassegnato, così impegnato ad esorcizzare le solitudini e le angosce da non saper più gustare, nella civiltà del dono, la vera bellezza della vita». A livello istituzionale così – aggiunge il Papa mentre una bimba gli gironzola intorno e lui se la guarda divertito - «urgono politiche efficaci, scelte coraggiose, concrete e di lungo termine, per seminare oggi affinché i figli possano raccogliere domani. C'è bisogno di un impegno maggiore da parte di tutti i governi, perché le giovani generazioni vengano messe nelle condizioni di poter realizzare i propri legittimi sogni. Si tratta di attuare serie ed efficaci scelte in favore della famiglia». Come, ad esempio, porre una madre nella condizione di non dover scegliere tra lavoro e cura dei figli; oppure liberare tante giovani coppie dalla «zavorra della precarietà occupazionale e dell'impossibilità di acquistare una casa». È poi importante – prosegue Francesco - promuovere, a livello sociale, «una cultura della generosità e della solidarietà intergenerazionale, per rivedere abitudini e stili di vita, rinunciando a ciò che è superfluo allo scopo di dare ai più giovani una speranza per il domani, come avviene in tante famiglie». Come fanno nonni e genitori nei confronti di figli e nipoti «nel cui abbraccio c'è il dono silenzioso e discreto del lavoro di una vita intera». Perché non si può, secondo Bergoglio, parlare di natalità e quindi di futuro se si dimentica dei nonni e del passato, «futuro lo fanno giovani e vecchi insieme. Non si può nascondere i nonni, mandarli nelle case di riposo, scartarli, questo è un suicidio culturale».
Da qui, dall’incrocio tra le generazioni e dalla generosità intergenerazionale, scaturisce la terza ed ultima parola usata dal Papa nel suo discorso: coraggio. E quando parla di coraggio si rivolge direttamente ai tanti giovani presenti all’Auditorium Conciliazione. «So che per molti di voi il futuro può apparire inquietante, e che tra denatalità, guerre, pandemie e mutamenti climatici non è facile mantenere viva la speranza – spiega -Ma non arrendetevi, abbiate fiducia, perché il domani non è qualcosa di ineluttabile: lo costruiamo insieme, e in questo "insieme" prima di tutto troviamo il Signore. Non rassegniamoci a un copione già scritto da altri, mettiamoci a remare per invertire la rotta, anche a costo di andare controcorrente». E, concludendo il suo intervento prima di ricevere da tre future mamme un albero segno di vita, chiede come sempre di pregare per lui, ma «a favore, non contro».
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De Palo: noi abbandonati dalle istituzioni
Poco prima era stato il presidente della Fondazione per la Natalità a spiegare al Santo Padre la difficile giornata vissuta ieri, il sentirsi amareggiato e deluso per quanto successo nel primo giorno della convention dove alcune studentesse avevano contestato la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella senza farla intervenire. «Fanno più rumore una ventina di contestatori che la mamma all’ottavo mese che non ha potuto parlare o gli studenti che sono qui e che si sono preparati per mesi», dice togliendosi qualche sassolino dalla scarpa Gigi De Palo, anche in riferimento alla scelta degli altri membri di governo previsti oggi di disertare l’evento. «Sono ormai quattro anni che proviamo a parlare di natalità cercando di fare squadra – aggiunge il presidente della Fondazione per la Natalità - evitando le inutili polemiche che fanno solo perdere tempo, e che sono un grande alibi per non dare risposte concrete alle famiglie e ai giovani e che ci allontanano sempre più dagli altri», Dopo una giornata come quella di ieri molto difficile, ha proseguito, «dove oltre le contestazioni ci siamo sentiti abbandonati dalle istituzioni che non si sono degnate di una parola di solidarietà nei confronti di questo evento. Come se ci fossero persone di serie A e di serie B, come se togliere la parola ad un ministro fosse più grave di toglierla ad una mamma all'ottavo mese di gravidanza che portava la sua testimonianza o ai tanti ragazzi delle scuole di Roma che partecipavano alla prima giornata di lavori e che si erano preparati a fare domande agli ospiti».