Per rilanciare le nascite servono aiuti economici e servizi alle famiglie, dice qualcuno. No, sostengono altri, è necessaria una svolta culturale. Il dibattito sulla natalità si avvita spesso attorno a due visioni contrapposte, ma che in realtà sono perfettamente complementari. È abbastanza evidente, cioè, che senza un contesto che aiuti i genitori a mantenere e a crescere i figli, difficilmente il numero dei bambini nati potrà avvicinarsi a quello dei bambini desiderati. Così non si può negare che la cultura in cui siamo calati tende a scoraggiare scelte in cui, come si dice, è necessario buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Le due prospettive si legano perfettamente, ed è importante far sì che la loro contrapposizione non diventi un alibi per l’inazione. Lo ha ricordato bene il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, intervenendo al primo appuntamento del “tour” organizzato dagli Stati Generali della Natalità. Zuppi ha parlato dell’importanza che la politica sappia dare «risposte puntuali e non opportunistiche», ovvero di un piano che offra «fiducia e sicurezza» ai giovani. Insomma: sostegni economici, servizi, case a prezzi accessibili, lavori non precari.
In mancanza di garanzie sufficienti, e di sicurezza, è difficile che un paese avanzato possa conoscere una natalità apprezzabile. Quando c’era la guerra in Italia nascevano più figli, è vero, ma non perché le persone fossero migliori, al limite erano più semplici, il fatto è che a differenza di oggi non vi erano molte alternative, con tutto quello che questo può significare.
La natalità è però anche una formidabile, per quanto parziale, cartina di tornasole del tasso di fiducia che le persone ripongono nel futuro. E se nascono pochi bambini o si formano poche famiglie, è anche perché quanto è stato introdotto non basta, non è sufficiente, cioè non è in grado di offrire quella prospettiva di serenità e di speranza verso il futuro che resta l’ingrediente fondamentale.
La questione culturale è più complessa, perché le “svolte” in questo ambito non si ordinano per decreto e non avvengono da un giorno all’altro. Però se alla politica spetta il compito di far scoccare la scintilla, a livello personale ci si può chiedere verso quale orizzonte stiamo volgendo lo sguardo.
L’arcivescovo di Bologna lo ha rimarcato con semplicità: la sicurezza sembra non bastare mai, ha spiegato, dobbiamo dare tutte le sicurezze ai giovani, ma poi servono anche il coraggio e «il gusto di guardare al futuro, alla bellezza della vita, della speranza, e di trasmettere vita». Cioè si può almeno provare a «credere che la vita ha senso quando la doni a qualcuno».
C’è un livello personale che è importante possa esprimersi nel desiderio di maggiori sostegni, e di sicurezza, perché in assenza di questo viene anche a mancare la necessaria pressione sulla politica, ostaggio di fin troppe lobby con interessi decisamente meno fondamentali. Dopodiché siamo consapevoli che la vita è fondamentalmente anche rischio?
Forse è un messaggio difficile da accettare, in una stagione segnata dai conformismi, e dove la scelta di famiglia e di figli è costantemente presentata come un percorso poco razionale. Ma è un concetto con cui gli educatori dovrebbero provare a fare i conti. Nel loro ultimo libro - “Generare libertà. Accrescere la vita senza distruggere il mondo” - Chiara Giaccardi e Mauro Magatti ampliano il concetto di “generatività” spalancando le porte alla dimensione travolgente del “rischio”. Scrivono i due sociologi: «Cercare sicurezza è rincorrere il mito del “rischio zero”. Ma senza rischiare non si vive, e senza speranza non si rischia. Solo chi spera può rischiare, guardare in faccia la morte per amore della vita».
Chi è genitore sa bene cosa significhi fare i conti con l’imponderabile, ogni ora, tutti i giorni, e quanta vita ci sia nel fare esperienza di questo. Se una svolta culturale è possibile, insomma, parlando di amore, di giovani coppie, e poi anche di natalità, potrebbe prendere le mosse proprio da qui. Da una richiesta legittima di sicurezze rivolta alla politica e alle istituzioni, perché la speranza non si nutre solo di sogni. Consapevoli, tuttavia, che un’esistenza ricca di senso non possa fare a meno di una buona dose di rischio, o di sana follia.