mercoledì 2 aprile 2025
Stasera il presidente farà entrare in vigore le imposte sui prodotti importati. Bruxelles lavora alle contromisure, ma anche alle mosse per un accordo con Washington
Un carico di container al porto californiano Oakland, uno dei principali scali portuali degli Stati Uniti

Un carico di container al porto californiano Oakland, uno dei principali scali portuali degli Stati Uniti - Reuters

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L’Europa è pronta a rispondere ai dazi di Donald Trump con un «forte piano di rappresaglia», con l’occhio anche ai big digitali Usa. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ribadisce la posizione dell’Unione Europea, alla vigilia del “Liberation Day”. Il giorno così definito dal presidente Usa per l’avvio, oggi, di una raffica di tariffe: scattano il 25% sulle importazioni di auto (componenti inclusi) e i “dazi di reciprocità” che colpiranno tutti i Paesi del globo. Ieri la Casa Bianca ha precisato che entreranno in vigore «immediatamente». Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, ha aggiunto che «il 2 aprile salirà alle cronache come uno dei giorni più importanti della storia americana» perché «Il presidente affronterà decenni di pratiche commerciali sleali con le quali il nostro Paese è stato derubato». «Il nostro obiettivo – dichiara Von der Leyen alla plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo – è una soluzione negoziale. Certo, però, se sarà necessario, proteggeremo i nostri interessi, i nostri cittadini, le nostre imprese. Non vogliamo necessariamente una rappresaglia. Ma se sarà necessario, abbiamo un forte piano di rappresaglia e lo utilizzeremo». Dettaglio di colore: un’agenzia italiana traduce l’inglese retaliate di Von der Leyen con “vendetta”, parola fuori luogo (e immediatamente finita nella polemica italiana, a cominciare da Matteo Salvini) tanto che poi la stessa Commissione chiederà una rettifica affermando che «mai la presidente ha parlato di vendetta».

La Commissione, già dopo l’annuncio di Trump del ripristino di dazi del 25% su acciaio e alluminio, ha preparato contromisure per 26 miliardi di dollari (dai jeans Levis ai semi di soia, dalle stufe, congelatori, tosaerba, manzo, pollo, moto Harley Davidson). In dubbio l’attacco al whisky Usa, dopo che Trump ha minacciato dazi del 200% su vini, champagne e whisky europei, provocando il panico tra i produttori in Francia, Italia, Spagna, Irlanda. La lista, che sarà pronta per il 14 aprile, deve però essere ampliata, già per rispondere ai dazi del 25% sulle auto e per quelli, che saranno annunciati oggi, di “reciprocità”, anch’essi attesi tra il 20 e il 25%, dai chip ai farmaci al legname. Bruxelles ha ampio margine di manovra: i dazi possono esser bloccati dagli Stati membri solo a maggioranza qualificata.

Da mesi l’Europa insiste che il disavanzo commerciale degli Usa verso l’Ue è minimo: su scambi commerciali per 975 miliardi di dollari tra le due sponde dell’Atlantico, nel terzo trimestre 2024 l’Ue aveva un avanzo commerciale di 203 miliardi di euro sul fronte delle merci, ma un disavanzo di 146 miliardi di euro sul fronte dei servizi. In totale, insomma, l’avanzo commerciale dell’Ue verso gli Usa è di soli 57 miliardi di euro, non certo la somma gigantesca lamentata da Trump. Argomento che però Washington ignora, nonostante le missioni del commissario al Commercio Maroš Šefcovic a Washington. «Posso assicurarvi – ha detto ieri il commissario – che una soluzione negoziata è la via preferita dall'Ue: per questo siamo in stretto contatto con i nostri partner americani e stiamo spingendo per trovare una soluzione». L’Europa potrebbe acquistare più armi Usa, più gas liquido, ridurre i dazi sulle auto americane. L’Italia è preoccupata. «Dobbiamo evitare l’escalation – dice il ministro delle imprese e il Made in Italy Adolfo Urso - se agiamo con contromisure ci facciamo male da soli».

In realtà Bruxelles prepara dure reazioni. Soprattutto una: colpire i big informatici Usa, Apple, Meta, Amazon, Microsoft, il social network di Elon Musk X. «Se Trump si concentra sui beni europei – ha tuonato ieri il presidente del gruppo Ppe Manfred Weber – noi dovremo concentrarci sui servizi Usa. I giganti digitali pagano poco le nostre infrastrutture». Sulla stessa linea è Parigi. Secondo fonti comunitarie, ci sono vari modi. Uno è utilizzare a fondo la nuova normativa digitale Ue, e cioè il Dsa (Digital Service Act) e il Dma (Digital Market Act), che assegnano ai big del Web particolari responsabilità con la possibilità di pesanti multe. In settimana la Commissione dovrebbe decidere se Meta e Apple stanno violando il Dma. Un altro strumento che Bruxelles potrebbe utilizzare è l’EU International Procurement Instrument (Ipi) (strumento sugli appalti internazionali), destinato alla reciprocità all’accesso delle gare d’appalto. Potrebbe essere utilizato per limitare l’accesso dei big del Web Usa agli appalti europei.

E poi c’è il “bazooka”: lo stumento Ue anti-coercizione. Uno strumento previsto anzitutto per i casi in cui potenze terze prendano di mira singoli Stati Ue, come la Cina con la Lituania (rea di aver accettato una rappresentanza ufficiale di Taiwan). Lo strumento può però essere utilizzato anche per l’intera Unione ed è molto potente: permette di colpire gli scambi in servizi, la protezione della proprietà intellettuale, brevetti, ma anche attività nell’Ue di enti finanziari, come ad esempio PayPal. Problema è la procedura per applicarlo: gli Stati membri devono approvare a maggioranza qualificata la valutazione della Commissione sulla presenza di una “coercizione”, poi deve esserci un negoziato con il Paese terzo e solo se questo non demorde si può arrivare alle misure. Il tutto può durare un anno.

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