I ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo davanti alla casa di padre Pino Puglisi a Palermo dove il sacerdote è stato ucciso dalla mafia - Gambassi
«Aprite le vostre case». Nicholle Salerno cita l’appello che sua madre le ha raccontato. Viene da Brindisi, ha 29 anni e dà voce all’Italia nel Consiglio dei giovani del Mediterraneo. «Era il 1991 quando le strade della mia città si erano riempite di albanesi, arrivati attraversando il mare. La Chiesa e le istituzioni avevano chiesto aiuto alla gente. E scuole, parrocchie ma anche famiglie avevano risposto con uno straordinario slancio di generosità che ha segnato profondamente la comunità, scegliendo di condividere i propri spazi con chi era appena sbarcato». Perché, aggiunge Nicholle, «l’accoglienza non può essere delegata: spetta a ciascuno di noi». Parole che ben sintetizzano il progetto giubilare presentato ieri a Palermo dal Consiglio dei giovani del Mediterraneo, il laboratorio di fraternità e azione ecclesiale e civica voluto dalla Cei dopo il “summit” dei vescovi e dei sindaci dell’area a Firenze nel 2022.
I ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Brancaccio, quartiere di Palermo dove padre Puglisi ha vissuto ed è stato ucciso dalla mafia - Gambassi
“Prendersi cura: una famiglia per ogni comunità del Mediterraneo” è la sfida che i ragazzi lanciano alle Chiese di tutto il bacino in occasione dell’Anno Santo. «Attraverso le Conferenze episcopali e i Sinodi che i delegati del Consiglio rappresentano, i ragazzi vogliono essere protagonisti di un impegno nel nome dei più deboli», spiega Tina Hamalaya, originaria del Libano ma trasferitasi in Italia per lavorare con la Fondazione Giovanni Paolo II. Lei anima la segreteria della consulta internazionale permanente formata da quaranta giovani, tutti under 35, dei Paesi affacciati sul grande mare. Giovani di tre continenti, Europa, Africa e Asia, che decidono di «mettersi in cammino con quanti sono nel bisogno per curarne le ferite: siano essi migranti, rifugiati, richiedenti asilo ma anche senza fissa dimora, madri e padri in condizioni di disagio con i loro figli, donne vittime di tratta, giovani in difficoltà. In pratica, tutte quelle situazioni di fragilità che con numeri sempre più preoccupanti caratterizzano le nostre società», aggiunge Tina.
I ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo davanti al Centro di accoglienza Padre Nostro fondato a Brancaccio da padre Puglisi - Gambassi
Una proposta concreta di “speranza”, come chiede il Giubileo alle porte, che ha per trampolino Brancaccio, il quartiere di Palermo che lega il suo nome al martirio di padre Pino Puglisi e che sta risorgendo sui passi del sacerdote ucciso dalla mafia nel 1993. Un “maestro” dell’accoglienza degli ultimi che i ragazzi incontrano visitando il luogo del suo assassinio, entrando nella casa-museo ricavata nell’appartamento dove il prete viveva, toccando con mano le attività di promozione sociale realizzate dal Centro di accoglienza Padre Nostro che il parroco beato aveva fondato nella periferia del capoluogo. «Solo se si resta sul territorio e non si fugge davanti ai problemi, è possibile cambiare la realtà», afferma Maurizio Artale, presidente del Centro, rivolgendosi ai ragazzi.
I ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo davanti alla casa di padre Pino Puglisi a Palermo dove il sacerdote è stato ucciso dalla mafia - Gambassi
È nei Magazzini Brancaccio, complesso confiscato alla mafia e ora collegato al liceo delle scienze umane “Dolci”, che i giovani del Mediterraneo si riuniscono nella loro seconda delle tre giornate siciliane all’insegna del motto “Non c’è pace senza accoglienza”. A promuovere l’appuntamento la rete Mare Nostrum a cui la Cei ha affidato il Consiglio; a costituirla quattro realtà di Firenze che tengono viva la profezia di riconciliazione fra i popoli di Giorgio La Pira: la Fondazione La Pira, l’Opera per la gioventù La Pira, il Centro internazionale studenti La Pira e la Fondazione Giovanni Paolo II. «Gesù non ha mai detto: “Scusate, non posso aiutarvi…”. - sottolinea Pilar Perez Brown, 26 anni, volto della Chiesa spagnola in seno all’organismo -. Spesso ci concentriamo su discorsi teorici, ma dobbiamo domandarci che cosa possiamo fare nel quotidiano». Ecco il percorso di ospitalità che unirà le sponde del Mediterraneo. «C’è chi pensa che incontrare l’altro o averlo in mezzo a noi significhi indebolire la nostra identità. Niente di più falso. Il Vangelo è fraternità. E il Giubileo invita a spalancare le braccia e i cuori», rimarca Pilar.
Il vescovo Cesar Essayan, vicario apostolico di Beirut, con i ragazzi del Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Brancaccio - Gambassi
Testimonial del progetto è il vescovo latino Cesar Essayan, energico vicario apostolico di Beirut, che porta a Palermo l’orrore e le sofferenze di un popolo sotto le bombe di Israele. «Non bisogna essere ingenui: l’accoglienza può generare paure», afferma. Vale anche per il suo Libano dove, riferisce, gli sciiti di Hezbollah si mescolano agli altri sfollati. «Ma noi accogliamo tutti», chiarisce. Poi il monito: «Occorre liberare il Vangelo dalle ideologie di gruppi o partiti che l’hanno preso in ostaggio». Il presule sposa l’iniziativa del Consiglio. «Dai migranti e dai rifugiati si leva un grido: “Signore, dove sei? Perché ci hai abbandonato?”. Tocca a noi ascoltarlo e rispondere a questo appello mostrando Cristo che vive in noi. Non da soli, ma insieme». Un invito a creare ponti intorno al grande mare. E ai giovani Essayan dice: «Trascinate i vostri vescovi. La Chiesa ha urgenza del vostro coraggio».