
Imagoeconomica
Le cime innevate e i connessi ghiacciai sono stati a lungo tutelati principalmente per il loro valore paesaggistico ed estetico. Ma oggi, di fronte agli effetti crescenti e inquietanti del cambiamento climatico, è più facile cogliere il ruolo cruciale degli ambienti montani nel ciclo dell’acqua e dunque per il benessere delle popolazioni che vivono a valle.
Nell’anno dedicato dall’Onu ai ghiacciai, anche il puntuale rapporto primaverile di UN-Water, il consorzio di agenzie internazionali sulla cooperazione idrica mondiale, approfondisce il valore delle ‘torri d’acqua’ per la vita di almeno 2 miliardi di persone, mettendo in evidenza i principali rischi emersi negli ultimi anni. Persino il celebre Fujiyama, simbolo per eccellenza della cultura nipponica, indossa il proprio ‘cappello’ annuale di nevi con un mese di ritardo. Altrove, lo scioglimento accelerato dei ghiacciai d’altura sta già modificando profondamente i cicli delle colture, obbligando gli agricoltori e allevatori d’ogni continente a correre ai ripari.
Nel cuore dell’Africa, gli ultimi ghiacciai equatoriali potrebbero scomparire nel volgere di pochi anni: entro il 2030, nel caso del Monte Kenya e della catena Rwenzori, e solo un decennio dopo per quelli del mitico Kilimangiaro. Anche per via di questi sconvolgimenti in corso da tempo, già nel 2017 ben 132 milioni di africani montanari vivevano in una situazione di vulnerabilità alimentare. Ciò è vero pure in Paesi dove, in assenza di ghiacciai, le montagne fungono solo da declivio di scorrimento per l’acqua piovana. In Madagascar, ad esempio, l’impatto è già sensibile nelle piantagioni di cacao, riso e frutti, comprese quelle destinate all’export.
Nel caso delle nostre Alpi, si prevede che entro la fine del secolo, la portata idrica legata ai ghiacciai potrebbe ridursi del 45%. Sempre in ambito europeo, si teme per gli ecosistemi diversificati di regioni come quella dei Carpazi, che ospitano circa il 30% della flora continentale.
Ma è soprattutto in Asia, a ridosso del cosiddetto ‘terzo polo’, ovvero dei sistemi montuosi legati all’Himalaya, che gli sconvolgimenti potrebbero essere su amplissima scala e ancor più difficili da parare. In effetti, la decina di grandi sistemi idrografici fluviali che dipendono da quelle alture sono essenziali per la sopravvivenza di quasi due miliardi di persone. In proposito, il rapporto sottolinea in primo luogo che «i ghiacciai della regione dell’Hindu Kush Himalaya stanno scomparendo ad una velocità allarmante, del 65% superiore nel periodo 2011-2020 rispetto al decennio precedente».
Sempre in Asia, ma sul più vicino litorale levantino del Mediterraneo, un Paese come il Libano dipende dalle nevi per almeno il 50% dei volumi idrici che alimentano le falde acquifere del Paese.
Persino agli antipodi rispetto al Vecchio Continente, sotto i cieli dell’emisfero australe, gli studiosi ritengono che un Paese come la Nuova Zelanda potrebbe perdere l’88% dei propri ghiacciai entro la fine del secolo, rispetto ai livelli del 2011.
Alla luce di un quadro in evoluzione così rapida, il rapporto intende dimostrare che esiste un «bisogno urgente d’azione e che le soluzioni più efficaci richiedono un approccio multilaterale», come ha evidenziato Audrey Azoulay, direttrice generale dell’Unesco, l’agenzia internazionale che ha curato la pubblicazione dello studio.
Da parte sua, Alvaro Lario, ai vertici di UN-Water e dell’Ifad (Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo) sottolinea le dure sfide per il futuro del settore primario: «Le montagne della Terra forniscono il 60% della nostra acqua dolce, ma le comunità che preservano queste risorse vitali sono fra quelle con la maggiore insicurezza alimentare. Dobbiamo investire nella loro resilienza per proteggere i ghiacciai, i fiumi e un futuro condiviso per tutti noi». Inoltre, le regioni montane e le loro risorse d’acqua sono basilari pure per la produzione di energia idroelettrica, oltre che per il turismo e l’economia forestale. Basti pensare, ad esempio, che nei Paesi andini l’85 dell’idroelettricità è generata in alta quota. Fra le altre poste in gioco cruciali, vi è la prevenzione di dissesti idrogeologici potenzialmente devastanti.
A lungo, la comunità internazionale sembra aver sottovalutato o schivato il problema. Ma oggi, dei progetti pionieristici multilaterali di salvaguardia di questi ecosistemi tanto vulnerabili interessano contesti emblematici come il già citato Kilimangiaro. Si tratta di sperimentazioni che, secondo gli esperti, dovrebbero rappresentare solo l’inizio di una ben più ampia mobilitazione politica e finanziaria.
Il rapporto è pubblicato a ridosso della Giornata mondiale dell’acqua, basata sul coinvolgimento in tutto il mondo anche di numerose Ong e altre realtà della società civile, impegnate in azioni di sensibilizzazione, spesso pure sulle ricadute sanitarie drammatiche dei sistemi idrici lacunosi, fatiscenti o talora persino inesistenti. Un esempio per tutti, le epidemie di colera vissute in Paesi come Haiti, Niger e Yemen.