Baku, la capitale dell'Azerbaijan - © Stefano Tiozzo
Sulle rive del Mar Caspio, sorge una città dalla grande storia, e che tra le sue caratteristiche ha il curioso primato di essere l’unica capitale “sottomarina” del mondo. Posta a 20 metri sotto il livello del mate, in questi giorni Baku, la capitale dell'Azerbaijan, avrà su di sé tutti gli occhi dei media del mondo perché ospiterà un evento che in pochi avrebbero mai collegato a questa città: la Cop29, il vertice annuale globale che unisce i leader del mondo nella lotta contro il cambiamento climatico, si svolge ironicamente nel cuore di un’economia profondamente legata al petrolio. È un paradosso che ci invita a riflettere su ciò che rappresenta Baku oggi: un crocevia tra la storia di un'industria che ha plasmato il mondo moderno e il futuro di un pianeta che richiede un cambiamento radicale.
La storia di Baku come capitale del petrolio risale al XIX secolo, quando la città divenne il cuore dell’estrazione petrolifera, attirando imprenditori russi e internazionali. Era il 1848 quando venne scavato qui uno dei primi pozzi petroliferi del mondo, e già alla fine del secolo, Baku produceva metà del petrolio mondiale. Le immense riserve sotterranee di Baku non solo plasmarono l'economia dell'Azerbaijan, ma fornirono anche carburante per le industrie europee e per le guerre, consolidando la città come un pilastro fondante dell’era del combustibile fossile. Con l’industrializzazione arrivò una trasformazione economica che portò prosperità, ma anche inquinamento e una dipendenza strutturale dal petrolio. Le raffinerie di Baku divennero un simbolo tanto di progresso quanto di sfruttamento, e oggi il mondo intero si chiede se sia proprio questa Baku – un tempo epicentro della "febbre nera" – a poter rappresentare il cambiamento di cui il pianeta ha bisogno.
Il ruolo di Baku come capitale petrolifera rende la scelta di ospitarvi la COP29 quanto meno discutibile. Come può una città così legata all’estrazione e al commercio di combustibili fossili diventare portavoce della lotta contro le emissioni di CO₂? Non è la prima volta che questo accade, sia chiaro. Basta anche solo tornare all’anno scorso, quando la discussissima edizione numero 28 della Cop si tenne nella controversa piazza di Dubai. Tuttavia è proprio da questo paradosso che, almeno in linea teorica, si può cogliere un’interessante opportunità.
La Cop29 offre una possibilità all’Azerbaijan e agli altri paesi produttori di petrolio di porsi come leader di un cambiamento. Perché anche una nazione costruita sull'estrazione di risorse fossili può decidere di investire in energie rinnovabili e in una nuova concezione di sviluppo che non faccia esclusivo affidamento su risorse destinate a esaurirsi con il passare del tempo. La presenza di migliaia di delegati, attivisti e leader mondiali in questa città, un tempo simbolo mondiale dell’industria del petrolio, potrebbe almeno simbolicamente rappresentare il segnale di un impegno verso un futuro più sostenibile.
Purtroppo, però, tornando con i piedi per terra nella realtà del mondo moderno, frammentato tra guerre e interessi nazionali, dove le fratture dell’economia energetica si fanno sempre più profonde e incolmabili, è piuttosto improbabile attendersi che in questa conferenza prevalga un improvviso impeto di etica economica francescana. Il sogno utopico di una conversione ecologica universale è assai lontano dal realizzarsi, ed è facile prevedere che da questa conferenza usciranno parole adatte a qualche slogan o titolo di giornale, ma molta poca sostanza, specialmente poco dopo la rielezione di Trump alla Casa Bianca, noto per aver ritirato la sottoscrizione degli Stati Uniti sugli accordi di Parigi, prodotto storico di una precedente edizione della Cop di 10 anni fa, e appunto ormai avviato a essere poco più che una pagina di un libro di storia.
Cionondimeno, con lo spirito da viaggiatore che anima questa rubrica, la Cop29 di Baku ci dà la possibilità non solo di incontrare nuove culture e luoghi, ma anche riflettere sulle moderne questioni etiche. Guardare ai maestosi edifici di Baku, costruiti con la ricchezza del petrolio, al punto da ricordare la fiamma ardente degli idrocarburi persino nella loro forma, e immaginare una città che possa un giorno rinnovarsi nel rispetto dei tempi di rigenerazione previsti dalla creazione, è un atto di speranza a cui sarebbe criminoso rinunciare in partenza. La Cop29, tenuta in questa città simbolo, ci ricorda che ogni nazione, ogni comunità e ogni persona può contribuire a un mondo più sostenibile, anche e soprattutto quelle realtà storicamente legate ai combustibili fossili. Richiamando l’immortale Cantico di Francesco, ogni cosa nel mondo è connessa, e persino in una città forgiata dall’industria petrolifera, ci si può soffermare a riflettere sulla bellezza e la vulnerabilità del creato, concedendosi una preghiera per un futuro in cui progresso e rispetto della Terra possano finalmente camminare insieme.