
undefined - REUTERS
A Strasburgo, nei luminosi corridoi del Parlamento europeo, c’è già chi propone sarcasticamente di cambiare nome al grande piano di riarmo dei 27: «Più che ReArm Europe - si dice - andrebbe chiamato Enrich America». Cioè arricchiamo gli Stati Uniti.
Vera o inventata che sia, la battuta fotografa bene quello che già emerge con la forza dei numeri: già nell’ultimo quinquennio il 64% delle armi comprate dagli eserciti europei erano fabbricate negli Usa. Una dipendenza da aziende americane destinata a crescere, visto che solo l’immenso comparto industriale bellico a stelle e strisce potrà soddisfare l’impennata di richieste dei paesi Ue.
L’annuncio spiazzante di Donald Trump di “disimpegnarsi” dalla difesa del Vecchio Continente ha spinto la Commissione europea - come è noto - a decidere prestiti per 150 miliardi di euro ai paesi membri, per riempire arsenali, peraltro già ben forniti. Più altri 650 dai bilanci nazionali, esentati dai vincoli dal patto di stabilità. Totale, 800 miliardi. La stessa cifra dell’immensa spesa annuale di Washington, il 40% della spesa mondiale degli eserciti.
Il progressivo disimpegno preannunciato da Trump in Europa
Una corsa al riarmo “ognun per sé”, ben lontana dall’idea di Difesa comune europea che richiederebbe innanzitutto una Politica estera comune, poi una standardizzazione di prodotti, con conseguente riduzione dei costi. I cacciabombardieri, per esempio: la Francia ha i suoi Rafale e Mirage 2000, l’Italia Eurofighter e Tornado, molti paesi europei i costosi F-35 statunitensi. In parte fabbricati in Europa, come l’impianto per le ali a Cameri, Novara. Ma con le chiavi dei sofisticati software custoditi gelosamente dagli americani. Una pesante dipendenza tecnologica per molte aviazioni europee.
Gran parte dell’enorme investimento di ReArm Ue andrebbe dunque a finanziare l’industria bellica statunitense. Dalla svolta politica della Casa Bianca gli Usa trarrebbero un doppio vantaggio: disimpegno militare da un’eventuale Difesa degli (ex?) alleati europei, e una pioggia di contratti militari.
Il rapporto 2023-2024 dell’European Defence Agency già segnalava la tendenza in atto: «Come negli anni precedenti, oltre l'80% degli investimenti nel settore della difesa, circa 61 miliardi di euro, è stato destinato all'acquisto di attrezzature. Gli Stati membri hanno spesso fatto ricorso a prodotti COTS (Commercial Off-The-Shelf, cioè “pronti all’uso”) ordinati da produttori non europei per colmare rapidamente le lacune di capacità, indebolendo la base industriale e tecnologica di difesa europea».
Ma quant’è grande l’industria bellica americana? La “Top 100” delle industrie della difesa mondiali per il 2024, stilata dalla testata americana specializzata Defence News, mette ai primi dieci posti ben sei aziende statunitensi. Prima è la Lockheed Martin degli F-35, seconda un’industria aeronautica cinese, dal terzo al sesto altre quattro aziende americane (RTX, Northrop Grumman, General Dynamic, Boeing), settima la britannica BAE Systems, quindi due aziende cinesi, decima l’americana L3Harris Technology Group. Distaccati il Regno Unito con 6 industrie, Cina, Germania e Turchia con 5, Francia con 4. L’Italia ne ha due, di cui Leonardo ben piazzata al 14° posto, Fincantieri al 48°. Per Defence News nella Top 100 ben 48 sono aziende Usa.
Dato sostanzialmente simile quello della classifica 2023 delle 100 “big companies in divisa” stilata dal Sipri, il prestigioso istituto indipendente di Stoccolma di ricerca sulla pace: 41 le americane che «hanno registrato ricavi per 317 miliardi di dollari, la metà del totale delle prime 100. Dal 2018 le prime cinque aziende tra le top 100 hanno sede negli Stati Uniti».
Per il Sipri gli Usa sono in testa nella classifica dell’export bellico: «Gli Stati Uniti con il 43% - dice Matthew George, direttore del programma Sipri per i trasferimenti di armi – ha una quota di esportazioni globali di armi più di quattro volte superiore a quella del secondo esportatore, la Francia». L’istituto di ricerca sulla pace certifica la dipendenza europea dai fornitori statunitensi: «Le importazioni di armi da parte dei membri europei della Nato sono più che raddoppiate tra 2015-19 e il 2020-2024 (+105%). Gli Stati Uniti hanno fornito il 64% di queste armi, una quota sostanzialmente maggiore rispetto» al 52% del quinquennio precedente.
Due terzi delle armi acquistate nel quinquennio 2020-24 dai paesi europei, insomma, sono di produzione americana. Con picchi ancora più alti - ancora fonte Sipri - per Paesi Bassi (97%), Italia (94%), Norvegia (91%), Danimarca (79%), Germania (70%), Romania (61%), Polonia (45%). L’Europa ha comprato anche da Francia e Corea del Sud (6,5% ciascuno), Germania (4,7%) e Israele (3,9%)». Una dipendenza dagli americani che non potrà che crescere grazie a ReArm Eu. Secondo paese esportatore è la Francia, che tra 2020 e 2024 ha venduto a 65 stati. Quarto esportatore la Cina, col 5,9% dell’export globale.
Una corsa vertiginosa (e in ordine sparso) al riarmo che dovrebbe servire come strumento di deterrenza verso il vicino ostile, la Russia. Servirà davvero? L’Europa è davvero così disarmata di fronte al minaccioso orso russo? I dati di Stoccolma da anni raccontano una realtà diversa. Degli oltre 2.400 miliardi di dollari di spesa mondiale per la difesa nel 2023, gli Usa ne spendevano 880, i 27 dell’Unione europea 287, cifra che arrivava ai 350 dei 32 paesi della Nato europea. Più dei 309 miliardi di dollari della Cina. Molto di più, quasi il triplo, dei 126 della Russia.