L'ultimo atto dei fondatori delle "Sardine" prima del voto: un tuffo nel mare a Milano Marittima - Ansa / Pagina Facebook delle Sardine
Decisiva doveva essere l’affluenza, e così è stato per quello che può essere etichettato come il primo capitombolo del “capitano” Salvini. Più che il tanto evocato voto disgiunto, alla fine pressoché ininfluente, a fare la differenza nella partita in Emilia-Romagna (quella in Calabria era data a senso unico da tempo) è stato il fattore-partecipazione. Che è stata alta nelle province dove ha prevalso il centrodestra (dal 62,9% a Piacenza al 65,6% a Ferrara, passando per Parma e Rimini), ma a sorpresa ancora più elevata nel “corpaccione” centrale della regione, quel gran blocco dei tradizionali feudi della sinistra che hanno resistito: quasi ovunque sopra il 68%, con una punta del 71% a Bologna.
Una reazione di massa capace di sopravanzare la stessa crescita del centrodestra; e ancor più significativa perché in inversione di rotta rispetto a 5 anni fa, quando Bonaccini aveva sì trionfato, ma con una modesta affluenza del 37%. Vien da pensare che, in questa maggior presenza dell’Emilia più “rossa”, abbia pesato anche l’”effetto-Sardine”, il movimento spontaneo nato a metà novembre da 4 giovani per stimolare una reazione all’attesa ondata sovranista. Quanto alla regione meridionale, il primo elemento che colpisce, oltre alle proporzioni schiaccianti della vittoria di Jole Santelli (quasi 25 punti su Callipo), è il mancato “sfondamento” della Lega a trazione nazionale: arrivata sì al 12,2%, eppure ancora sopravanzata da Forza Italia (12,5%, anche perché esprimeva la candidata presidente) oltre che da un Pd che si conferma comunque primo partito; ma, soprattutto, una prestazione leghista rimasta nettamente al di sotto del sorprendente 26,6% segnato nella regione alle europee di maggio 2019.
Bonaccini dopo la riconferma a governatore dell'Emilia Romagna nel voto di ieri - Ansa
Un’altra considerazione della partita emiliana riguarda la natura dei duellanti. Alla fine Bonaccini ha vinto assumendo un profilo quasi da tecnocrate, molto attento al rivendicare la bontà dei risultati ottenuti con una buona amministrazione e tenendosi alla larga dalle polemiche. Per sua scelta, gli stessi simboli di partito sono stati relegati in secondo piano, sostituiti da altre immagini (ce n’era perfino una col suo profilo barbuto ritratto sui manifesti). Segno, per una volta, che l’azione vale più di tante parole.
Sull’altro piatto della bilancia, certo, ha pesato anche un candidato di centrodestra straordinariamente debole, comunque due punti sotto la sua coalizione, non si è capito fino a che punto voluto per non togliere luce alla presunta stella Salvini, il vero mattatore-candidato di queste elezioni. Che ora dovrà comunque fare i conti con un esito in cui, al di là della vittoria calabrese, prevale il bicchiere mezzo vuoto.
Decisamente vuota invece, ma a questo punto non è una sorpresa, è la prova del Movimento 5 stelle, chiamato ora a leccarsi le ferite di una batosta colossale per quello che nemmeno due anni fa era il partito trionfatore alle elezioni del 4 marzo 2018. Una sconfitta anticipata dalle dimissioni da capo politico di Luigi Di Maio, che non ha voluto mettere la faccia su una sconfitta da cui aveva tentato di fuggire in ogni modo (tanto da cullare l’idea di non presentare nemmeno le liste).
Proprio la tenuta di M5s rappresenta la maggiore incognita di un quadro politico che, dopo questa tornata, sulla carta segna ora un orizzonte meno travagliato per la maggioranza che regge il governo Conte. Le prossime regionali di primavera, infatti, presentano un profilo più tranquillo, scevro da quello scossone che poteva essere – e non è stato - il voto emiliano. Per paradosso, proprio la “crisi nera” del Movimento, che chiamerà comunque i pentastellati nei prossimi mesi a una profonda riflessione sulla loro evoluzione, potrebbe diventare una garanzia, essendo i grillini oggi i meno interessati a un eventuale ritorno alle urne. Assume a questo punto un’importanza ancor maggiore l’attesa verifica, necessaria per sgombrare il campo dalle insidie sui vari dossier che hanno diviso la maggioranza giallorossa e per spianare la via a un cammino che, a meno di sorprese, potrebbe davvero arrivare a fine legislatura.