«Rimango fermamente convinto che tutto il nostro partito debba votare la fiducia a Letta. Non ci sono gruppi e gruppetti...». Mancano pochi minuti alle 17 quando il segretario del Pdl, Angelino Alfano, lancia coram populo, attraverso le agenzie di stampa, il guanto di sfida già consegnato in privato al Cavaliere. Gli incontri, le riunioni, i vertici e i pourparler che hanno costellato le ultime 48 ore non sono servite, almeno finora, a sanare la frattura che separa la visione di Silvio Berlusconi («Il nostro sostegno al governo Letta è terminato») da quella di Alfano e degli altri quattro ministri dimissionari, Gaetano Quagliariello, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin e Nunzia De Girolamo. Per tutti loro, «l’esistenza dell’esecutivo deve continuare, il Paese non capirebbe così come non ha compreso la vicenda delle dimissioni di massa...». L’hanno ripetuto più volte al Cavaliere nelle ultime ore, attraverso la mediazione dello stesso Alfano o in concitate riunioni allargate agli altri big del partito, falchi compresi. Ma Berlusconi sembra intenzionato ad andare avanti e così la giornata di ieri inizia com’era finita la precedente, con un nuovo vertice in tarda mattinata a Palazzo Grazioli: poco dopo l’arrivo del segretario del Pdl, gli altri esponenti del partito (i capigruppo Schifani e Brunetta, Maurizio Gasparri, il coordinatore Denis Verdini, Gianni Letta e l’avvocato Niccolò Ghedini) se ne vanno, lasciando ancora una volta soli Berlusconi e Alfano. È un confronto teso, a tratti aspro, che ricalca quello della notte prima, quando Angelino ha già manifestato chiaramente la volontà di non staccare la spina al governo («È una scelta profondamente sbagliata») dicendosi convinto che una parte del partito lo seguirà. Al termine dell’ennesimo, durissimo round, entrambi restano in piedi, ma ai punti sembra vincere Alfano. Fra i due cala il gelo e il vicepremier nel pomeriggio torna a Palazzo Chigi, per un colloquio col premier, al quale prendono parte anche la "feluca" del partito, Gianni Letta (secondo alcuni, il vero tessitore della situazione), i ministri Quagliariello e Lorenzin, ma anche Fabrizio Cicchitto, determinato nell’eccepire il giorno prima la mancanza di dibattito interno al partito. E la conferma di una sintonia la si avrà più tardi, con la nota del presidente del Consiglio che respinge le dimissioni (fino a ieri «irrevocabili») dei 5 ministri.In Parlamento, intanto, il tam tam è assordante. Ci sono falchi come Daniela Santanchè, che offrono «la propria testa» per evitare spaccature, altri che minacciano feroci ritorsioni: «I traditori sono zucche vuote che hanno ottenuto la poltrona grazie ai voti di Berlusconi. Polvere erano, polvere ritorneranno e li spazzeremo via», tuona Simone Furlan. E anche "esterni" come il leader di Grande Sud, Gianfranco Miccichè, che approfittano per rispolverare vecchi rancori siculi: «Abbandonare oggi Berlusconi è un atto di profonda viltà. Alfano e gli altri ne risponderanno alla propria coscienza, prima che agli elettori». Sul versante opposto, alcune colombe pronosticano scissioni, altre rompono gli indugi: Il siciliano Salvo Torrisi esulta («Alfano fa il segretario. Evviva!«) e Federica Chiavaroli anticipa «voterò la fiducia». Qualcuno addirittura si spinge a ipotizzare un calcolo dei parlamentari pidiellini pronti ad andarsene: «Siamo anche più di 40 e siamo fermi nel voler mantenere l’equilibrio di governo. Perciò voteremo la fiducia. Il problema dei numeri al massimo è degli altri, sono loro gli scissionisti...», azzarda spavaldo il senatore Carlo Giovanardi.
Alcune fonti sostengono pure che, dopo un summit "frondista" mattutino al Senato, l’opera discouting a Palazzo Madama sarebbe ultimata, con poco meno della metà dei senatori azzurri pronta a staccarsi, con la denominazione «Nuova Italia» in vista della rinascita di un partito popolare italiano, forse insieme ai montiani di Scelta civica e all’Udc, in vista delle elezioni europee.
Ma gli equilibri non sono del tutto decisi. Da un lato c’è chi assicura che l’invito di Alfano all’unità del Pdl, rafforzato più tardi anche da Lupi («Sono sempre più convinto che non questo o quel gruppo, ma tutto il nostro partito debba votare la fiducia al governo», twitta), abbia l’intento di "svuotare" del tutto il partito, lasciando solo a Berlusconi l’ala dura degli irriducibili. E la scissione si consumerebbe sia al Senato che alla Camera, con la costituzione di gruppi parlamentari autonomi dal Pdl. Potrebbero farne parte i "siciliani", legati ad Alfano, ex esponenti di governo come Maurizio Sacconi, ma anche lombardi come lo stesso Lupi e Roberto Formigoni: «Sono pronto a votare la fiducia al governo Letta, insieme al segretario del Pdl Angelino Alfano – annuncia l’ex-governatore lombardo –. Spero che il partito sia compatto su questo fronte per garantire la stabilità necessaria al Paese e la nascita di provvedimenti anti-crisi». Poi aggiunge: «Anche Berlusconi sta riflettendo su questo punto...». Più incerta la pattuglia dei parlamentari pugliesi guidati da Raffaele Fitto, che in serata partecipa all’ennesimo vertice chez Berlusconi, insieme a Brunetta e Schifani, Ghedini, Gasparri, Sandro Bondi, Maria Stella Gelmini e al ministro dimissionario Nunzia De Girolamo.
Alfano non ci va, resta a Palazzo Chigi in attesa di notizie. Ciò che doveva dire al Cavaliere l’ha detto, senza reticenze né timore reverenziale. La sua speranza è ancora quella di una "vittoria piena" che possa riallineare il partito sulla scelta della fiducia.«Tutto può ancora accadere», ragionano le colombe. Finche da Palazzo Grazioli il Cavaliere ribadisce la linea dura, invitando il Pdl a votare la sfiducia: sono le dieci di sera quando i flash d’agenzia sembrano far vacillare anche l’ultima ipotesi di una ricomposizione.