Giuseppe Comand nella sua casa di Latisana, dov'era nato nel 1920
Non aveva origini istriane né aveva nulla a che spartire con la tormentata storia dei nostri italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia. Eppure suo malgrado era l’ultimo testimone vivente di come le salme furono tirate su a grappoli dalle Foibe nell’autunno del 1943, dai Vigili del Fuoco di Pola. Per questo Giuseppe Comand due anni fa, all’età di 97 anni, ricevette dal capo dello Stato Mattarella il titolo di Commendatore al merito della Repubblica.
Gli onori da Mattarella, il ricordo bipartisan
Un’ultima inaspettata gioia, che gli fu conferita dopo che Avvenire aveva scoperto e raccontato la sua storia. Il 2 gennaio, a due anni dall’intervista, il commendatore Comand a 99 anni ha però lasciato questa vita: «Con la sua scomparsa perdiamo la memoria e la testimonianza diretta di quel che fu l’orrore delle Foibe, e di quale pietosa opera si fecero carico coloro che riportarono alla luce i corpi straziati», ha commentato per prima la deputata Pd Debora Serracchiani, ex presidente del Friuli Venezia Giulia. «Prendiamo esempio dalla lucida compostezza con cui Comand ha rievocato quasi fino all’ultimo le sue esperienze, e affidiamo alle Istituzioni il dovere del Ricordo affinché questo brano della storia d’Italia sia conosciuto e compianto», ha aggiunto Serracchiani, rivolgendo «sentimenti di vicinanza e gratitudine alla famiglia e alle associazioni degli Esuli, che hanno contribuito a tenere accesa la memoria».
«La scomparsa alla soglia dei cent'anni di Giuseppe Comand, ultimo testimone oculare del recupero degli infoibati in Istria, desta commozione e ci ammonisce a preservare nella comunità regionale e internazionale quella memoria che abbandona la vita delle persone», ha concordato il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, esprimendo in una nota il proprio cordoglio: «Rivolgo le più sentite condoglianze ai familiari di un uomo stimato che ha saputo affrontare con senso del dovere e lucidità uno dei più esecrabili orrori del comunismo titino. È nostro compito ora - ha concluso il governatore - mantenere la lanterna accesa sui fatti certificati dai testimoni della storia perché pagine come quelle vissute da Comand possano essere conosciute dalle giovani generazioni per non essere mai più scritte». «La sua tenace testimonianza è un patrimonio collettivo che non deve andare perso», ha dichiarato anche il deputato Walter Rizzatto, coordinatore in Friuli Venezia di FdI.
«Appesi a una corda, nel ventre della terra»
Comand nel 1941 fu scelto tra un gruppo di militari trasferiti a Sussak, nei pressi di Fiume (allora Italia, oggi Croazia) in appoggio al Corpo dei vigili del fuoco di Pola guidati dal maresciallo Arnaldo Harzarich. Dopo l’8 settembre del ’43 «i tedeschi ci destinarono a riesumare dalle foibe quei poveri corpi», ci raccontò nel gennaio di due anni fa. «L'odore della decomposizione era pestilenziale, l'aria irrespirabile fino a chilometri di distanza. I miei compagni coraggiosi, Vigili del Fuoco di stanza a Pola, buttavano giù cognac prima di calarsi nella foiba: scendevano per centinaia di metri con due corde e una specie di seggiolino, mettevano il cadavere nella cassa e davano quattro colpi di corda, il segnale per dire tiratemi su». Un ricordo ancora insopportabile, antico di decenni eppure sempre vivido: «Sono passati 74 anni, ma sento ancora quell'odore, e soprattutto le parole dei miei compagni, che sotto choc si sfogavano tutte le sere raccontando ciò che avevano trovato...».
La pagina di Avvenire che aveva reso nota la testimonianza di Giuseppe Comand due anni fa. Pochi giorni dopo il capo dello Stato Sergio Mattarella gli conferì l'onorificenza di Commendatore al merito della Repubblica - Archivio Avvenire
«Norma Cossetto sul fondo, a occhi aperti»
Allora Giuseppe Comand era un ragazzo di 23 anni, ma non scordò mai l’orrore delle stragi compiute dai partigiani comunisti di Tito contro gli italiani. «Non ero un eroe, volevo solo tornarmene a casa», ci disse, ma aveva rifiutato di disertare. Tra i suoi ricordi più vividi, quello della giovanissima Norma Cossetto, figura simbolo del martirio istriano, recuperata dalla Foiba di Surani dove giaceva «con gli occhi spalancati che ancora guardavano in su» verso l’apertura irraggiungibile. È la prima volta che lo riferisco a qualcuno», ci aveva detto in pianto Comand. Testimoniò anche ciò che gli raccontarono due sorelle che in quei giorni cucinavano per la squadra di Harzarich, e che in foiba avevano perso un fratello: «La povera Norma era stata sequestrata dai partigiani di Tito e per tutta la notte si erano sentite le sue urla mentre la seviziavano e la stupravano in branco. Non aggiungo cosa le fecero prima di gettarla in foiba viva, non ce la faccio: anche allora ero scioccato, ma erano tempi in cui all'orrore si era abituati, adesso soffro di più».
La figlia: «Era felice di aver contribuito alla verità»
È morto in serenità, senza accorgersi di nulla, aspettando la cena in casa sua, racconta la figlia Maria Luisa.
«Sarò sempre grata ad Avvenire che gli ha permesso di togliersi quel macigno dal cuore - aggiunge -. Erano decenni che sentiva il tormento di un'ingiustizia troppo grande: lui, che istriano non era, non sopportava quando vedeva negare le stragi avvenute nelle Foibe, così come non tollerava più il silenzio che troppo spesso copre ancora oggi la verità su questa tragedia. Si sentiva investito della responsabilità di testimoniare quanto aveva visto con i propri occhi, ed essere riuscito a farlo anche se in vecchiaia gli aveva regalato un sollievo che desiderava da tanto. L'onorificenza data da Mattarella e il clamore che ne seguì, con tante altre interviste su diversi giornali, gli restituirono la pace».
Con Comand se ne va l’ultima persona che potesse raccontare quanto ormai testimoniato solo dalle fotografie.