Papa Francesco riceve in udienza Dunja Mijatovic, commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa - Ansa / Vatican Media
«È uno sconcertante doppio standard. Si aprono le braccia a gruppi di profughi che si ritiene di voler accogliere e si chiudono invece a quelli che non si vuole accogliere...».
Non ricorre al linguaggio diplomatico Dunja Mijatovic, dal 2018 commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, per definire, con un velo d’amarezza, l’atteggiamento ipocrita adottato da diversi governi. In una Raccomandazione appena indirizzata ai 46 Stati membri del Consiglio (pubblicata venerdì da Avvenire ), la commissaria stigmatizza la pratica dei respingimenti illegali attuata nel Vecchio Continente: «È fondamentale ora aprire braccia e cuori al popolo ucraino – ripete –, ma ricordando che ogni giorno nel Mediterraneo o lungo altri confini Ue ci sono persone respinte, bambini che annegano, famiglie congelate nei boschi. Come si può essere così accoglienti con alcuni e così crudeli con altri?».
E ieri Dunja Mijatovic è stata ricevuta ieri in udienza da papa Francesco in Vaticano.
Papa Francesco ha più volte ribadito l’importanza di accogliere i migranti con umanità. Lei è appena stata ricevuta in Vaticano. Quali situazioni ha rappresentato al Santo Padre?
Sono rimasta impressionata dalla conoscenza di Sua Santità della complessa situazione dei migranti. Ha condiviso con me le impressioni sulle sue visite a Lesbo e recentemente a Malta. Abbiamo scambiato considerazioni sul diritto d’asilo e sulle Convenzioni internazionali ed europee, ma anche sull’attuale situazione europea dovuta al conflitto in Ucraina. Le sue vibranti prese di posizione sono importanti anche per il nostro lavoro.
Cosa riporterà a Strasburgo di questo dialogo?
Con le sue parole e con la sua testimonianza, Papa Francesco ci ricorda quanto sia importante to stay human, restare umani, e abbracciare chi soffre. Questo scambio di vedute è stata un’esperienza straordinaria per me. Ho avuto anche due incontri col segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, e con il cardinale Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale: con loro abbiamo pure affrontato diversi aspetti collegati alle conseguenze sociali ed economiche della pandemia.
Nella Raccomandazione lei denuncia decine di migliaia di respingimenti ai confini dell’Europa. Perché in quei casi non scatta un meccanismo condiviso di solidarietà?
È questo il punto. Nella Raccomandazione, insisto sul fatto che «siamo tutti uguali». Sono in gioco i principi fondamentali su cui si fondano le società europee: uguaglianza, democrazia, rispetto dei diritti umani. Non si tratta di principi astratti o di statistiche, ma di volti, sguardi, storie di sofferenza. Sono stata a novembre sul confine fra Bielorussia e Polonia e ho incontrato i profughi: dalla famiglia etiope che gelava nel bosco all’afghano fuggito per la paura di persecuzioni. Persone che hanno bisogno di protezione, che non sono trafficanti o criminali, ma fuggono da una sorte orribile nel loro Paese.
Anche il governo italiano, lei segnala, è responsabile di molti respingimenti.
In questo momento l’Italia ha la presidenza del Consiglio d’Europa. E, in generale, io ho un dialogo costruttivo con le istituzioni italiane. Ma è mia abitudine essere chiara e diretta: ci sono situazioni nelle quali le autorità italiane non dovrebbero essere coinvolte. Soprattutto la cooperazione con la Guardia costiera libica: è qualcosa che io mi aspetto che s’interrompa.
E dagli altri governi dei Paesi aderenti al Consiglio d’Europa cosa si aspetta?
Che cambino registro e mantengano fede agli impegni assunti in sede internazionale. Del resto, sono diventati membri del Consiglio per loro scelta, nessuno li ha forzati. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo non è una confezione di ciliege, prendi quelle che ti piacciono e lasci le altre, è qualcosa che gli Stati dovrebbero tenere seriamente in conto. È sorprendente quanto strida l’atteggiamento di alcuni governi, come Polonia o Ungheria, con la solidarietà quotidiana di migliaia di loro cittadini che, lungo i confini, ogni giorno accolgono, curano e sfamano altri esseri umani, senza guardare alla loro provenienza. Sono queste persone, mi lasci dire, che stanno salvando la faccia dell’Europa.
Rispetto al conflitto in Ucraina, state già raccogliendo e verificando segnalazioni di violazioni dei diritti umani?
Abbiamo iniziato a farlo. Non è semplice: siamo un team di sole 20 persone. Ma stiamo incontrando i profughi in Moldavia , Polonia e in altri Paesi. E siamo in contatto con attivisti per i diritti umani rimasti in Ucraina, persone coraggiose che fanno un lavoro straordinario. Stiamo raccogliendo informazioni su segnalazioni di violenze su donne e bambini, casi di stupro, traffico di persone, anche con disabilità...
Cosa significa per lei, nata a Sarajevo, assistere di nuovo allo scatenarsi di un conflitto nel nostro continente?
Ero in Georgia quando sono cominciati i bombardamenti su Kiev. Per me è un momento triste e doloroso. Sono nata in Bosnia, conosco gli orrori della guerra: quando vedo le immagini delle bombe sulla folla in stazione, mi tornano in mente i corpi massacrati al mercato della mia città, Sarajevo. Non avrei mai creduto che, pochi decenni dopo, altre popolazioni avrebbero dovuto vivere questa tragedia.