Il maestro Peppe Vessicchio, napoletano classe 1956
La cultura nazionalpopo-lare, di cui siamo impregnati, un po’ tutti, relega il Maestro Peppe Vessicchio alla presenza costante sul podio di direttore dell’Orchestra del Festival di Sanremo. Oltre trent’anni, bacchetta alla mano, a ipnotizzare la platea dell’Ariston, accompagnando al trionfo la Piccola Orchestra Avion Travel (conSentimento, 2000), Alexia ( Per dire di no, 2003), Valerio Scanu ( Per tutte le volte, 2010) e Roberto VecchioniChiamami ancora amore( 2012). Ma per questo filosofo della musica, napoletano, classe 1956, svezzato dal cabaret dei “Tre tre” («esperienza breve, ma che ha permesso a uno “stoccafisso” quale ero agli esordi di apprendere i trucchi del palco e il valore del sorriso che nella vita non deve mancare mai») affianco alle canzonette popolari ci sono le colonne sonore («sto lavorando a quella dell’ultimo film di Bille August, tratto dal romanzo Tu, mio di Erri De Luca), l’attività concertistica («ieri sera a L’Aquila per il 70° dell’Istituto di Fisica Nucleare e domani sera a Roma per i 100 anni dell’Università Cattolica» e verrà premiato assieme a suor Valentina Sala), la composizione classica e perfino la musica da camera, come la Tarantina, che alla chetichella è stata appena eseguita dai Solisti della Scala.
Un debutto scaligero sotto traccia. Ma forse maestroVessicchio il grande pubblico nazionalpopolare andava avvertito no?
A dire la verità non l’ho comunicato neanche ai parenti più stretti – sorride sotto quella barba folta che è l’effigie del “verdiano” Vessicchio – . Con i Solisti della Scala ci siamo conosciuti un anno fa e mi hanno chiesto se avessi un’idea da abbinare al loro programma, di cui conoscevo solo Debussy e il suo trio. C’ho pensato e mi sono chiesto: qual è l’espressione di italianità migliore da abbinare al respiro francese? La risposta l’ho trovata nel tarantismo, cioè in quella capacità che ha la nostra musica popolare di esorcizzare delle patologie legate alla parte sociologica dell’appartenenza. Così ho scritto la Tarantina lavorando su un “ostinato” di viola molto impegnativo per chi lo suona, ma fortunatamente tra i Solisti della Scala c’è Giuseppe Russo Rossi che è un pugliese, un musicista molto impegnato e sensibile a questo tipo di conoscenze. Il fatto poi che la Tarantina non è stata pubblicizzata è solo perché si trattava di un “bis”, quindi composizione non compresa nel programma. Ma considero un colpo di fortuna e un privilegio che la mia musica sia stata ascoltata nel Teatro che è patrimonio universale della cultura musicale.
La “sua musica”, nel 1990 era entrata al Cremlino: il concerto di Mosca in onore di John Lennon. Esperienza unica in Russia o all’epoca ebbe contatti anche con l’Ucraina?
Quel concerto moscovita è rimasto un unicum. Ricordo in maniera indelebile l’umanità profonda dei musicisti che costituivano l’Orchestra legata al ministero degli Esteri dell’Urss. La grande povertà materiale avvalorava ancora di più la loro straordinaria generosità. In Ucraina non sono mai stato ma ho collaborato con tantissimi strumentisti provenienti da quella nazione, altrettanto generosi quanto i russi... Ora non c’è niente da fare: la voglia di potere è vincolata a doppio filo col denaro e ad avvantaggiarsene è l’industria bellica che innesca un processo distruttivo di tutti i valori che dovrebbero ispirare l’umanità.
Non tutto il mondo della musica si è espresso apertamente come sta facendo lei Maestro...
Io sono per il disarmo assoluto. Lo so, è utopico, ma l’utopia è l’obiettivo che non smarrisci, offrendoti la direzione verso la quale puntare. Quindi sono d’accordo con il Papa: anche se ti ritrovi costretto a deviare, non perdere di vista l’obiettivo della pace, piuttosto perseguilo ad ogni costo.
In ogni guerra, una vittima su tre sono bambini. Come vive il ruolo di direttore artistico dello Zecchino d’Oro?
Il tema della canzone per l’infanzia mi sta molto a cuore. Quei piccoli sono il nostro proseguimento e dovrebbero ricevere più attenzioni formative e informative. Io mi sto adoperando per l’introduzione ufficiale della materia musica nell’istruzione primaria, cioè in uno dei momenti più fertili della crescita di un bimbo. Molti illustri cantautori inviano sempre più le loro canzoni allo Zecchino? Ben vengano i contributi di esperienza di questi autori affermati, non possono che migliorare lo scenario.
E un suo “ritorno” in scena a Sanremo è possibile?
Vivo seguendo il flusso della vita. Se qualcuno avrà bisogno di me sarò lieto di interfacciarmi e contribuire, che a chiedermelo sia un artista emergente o una vecchia core noscenza poco importa.
Il momento più emozionante nella sua lunga storia sanremese?
L’ho vissuto dieci anni fa, grazie a Roberto Vecchioni quando vinse con Chiamami ancora amore. Roberto venne “portato in cielo” da un tornado di voti telefonici… lui, cantautore vecchia scuola senza call-center, senza il vento in poppa soffiato dai talent, senza le spinte della discografia di potere. Il suo messaggio era così animato e puro da farsi musica e arrivare in maniera diretta, istintiva, direi addirittura precedendo l’insieme delle distinte parole. Quando poi le analizzi capisci ancora di più perché ti è piaciuta quella canzone.
Ha citato i talent. Lei che è stato tra i giurati di “Amici” ritiene che siano davvero l’unica via possibile per un giovane artista per arrivare a fa- della musica la propria professione?
Tutti i talent presenti in tv sono una reale opportunità per affacciarsi sulla scena godendo di un abbrivio importante. Se lo scafo è solido e il pilota è capace comincerà la sua traversata. Ma solo alcuni, pochi, vanno avanti, molti tornano a riva, e poi magari ripartono, se maturano il proprio bagaglio di capacità in base a questa esperienza aggiuntiva del talent. Però per me, fare della musica la propria professione, significa ben altro: vuol dire investire sulla conoscenza del linguaggio scelto, praticarlo con costanza, con attenzione, addestrando la propria tecnica neuromuscolare così come un atleta costruisce il suo percorso di saltatore, alzando periodicamente l’asticella e ingaggiando, innanzitutto, la gara con se stessi.
Forse anche la televisione e il linguaggio televisivo dovrebbero alzare un po’ l’asticella, specie in questo momento storico.
Si è sicuramente superata la linea di demarcazione. “Televisivo” ormai è un sostantivo che indica il conduttore, l’attore, il regista... La nostalgia del passato può essere controproducente perché crea ancora più distanza tra il mondo adulto e le nuove generazioni. Però personalmente non posso che guardare indietro e dire che la tv e i Festival di Pippo Baudo hanno rappresentato l’apice. Anche perché Baudo, a differenza dei suoi eredi pur bravi, usava la televisione e non viceversa veniva usato dal mezzo. Baudo è stato l’unico uomo di spettacolo capace di essere superiore al mezzo ospitante.
E lo stato di salute della musica attuale qual è?
Una lunga convalescenza dovuta alla frattura storica provocata dalla musica del ’900. Oggi possiamo offrire alle persone la vita e le esperienze, un ricongiungimento con il linguaggio musicale e adattarsi al secolo della grande accelerazione, ma il danno provocato e gli effetti collaterali sono paragonabili al disastro ambientale. La plastica negli ultimi 50 anni ha costruito un’isola artificiale nel Pacifico grande come la Spagna... La musica purtroppo è inquinata, come gran parte del pianeta in cui viviamo.
Possibile un’azione di riciclaggio o meglio ancora di ripulizia?
Possiamo recuperare attraverso la conoscenza e l’educazione la musica bella in senso greco, quella che riesce a comunicare per melodia e per stile la completezza estetica oggettiva, e mettere da parte quella incompleta che nuota usando solo le braccia ma non le gambe. I giovani vanno guidati allo studio dello strumento nel loro periodo più fertile, quello che va dai 12 ai 18 anni. Quindi dobbiamo tornare a un “modello italiano” di conservatorio che noi abbiamo cancellato, mentre nel resto del mondo è stato copiato e con risultati eccezionali.
Oltre ai concerti estivi cosa c’è nel suo futuro imminente?
Ho ripreso a scrivere la “musica per la musica”. Una Partita per due violoncelli con arbitraggio di pianoforte... Un’Opera spirituale con coro e orchestra, laMissa pro Anima, titolo “battezzato” da don Nunzio Galantino. La prima esecuzione con orchestra e coro è avvenuta a Pietrelcina, il paese natale di san Pio, un uomo speciale che ha attratto attorno a sé tante energie di bene e al quale sono da sempre devoto. Così come sento mia la cultura francescana, specie nel suo invito a spogliarci del superfluo per tornare a una vita in purezza. Anche la musica deve farlo per riappropriarsi della sua spiritualità, scevra dai compromessi imposti dai mercanti nel tempio.